Battaglia di Stalingrado – 23 agosto 1942 – 2 febbraio 1943

(parte I) L’operazione Barbarossa

La battaglia di Stalingrado marcò il punto di svolta della guerra a oriente durante il secondo conflitto mondiale. Infatti, dopo Stalingrado, l’iniziativa militare passò completamente nelle mani dell’Armata Rossa. L’invasione dell’Unione Sovietica fu la più vasta operazione militare terrestre di tutti i tempi. Il fronte orientale, aperto con l’inizio dell’operazione denominata Barbarossa, fu il più grande e importante teatro bellico dell’intera seconda guerra mondiale e avrebbe dovuto costituire l’atto decisivo per assicurare la vittoria totale del Terzo Reich.

Premessa

Nella storia militare costellata d’innumerevoli battaglie, alcune di esse occupano un posto più importante di altre. Le ragioni possono essere diverse: la più comune è che la tal battaglia sia stata decisiva nel porre fine a un conflitto, per esempio, continentale o che comunque coinvolgesse due o più grandi potenze, oppure che abbia provocato la caduta di un personaggio che ha segnato nel bene e nel male un’epoca, o che sia stata particolarmente cruenta in termini di morti, feriti e dispersi. Ebbene queste battaglie, in qualche maniera, ritengo abbiano meritato l’appellativo virgolettato di: “La Battaglia”. Tra gli esempi di battaglie per antonomasia vi è sicuramente Canne che oltre ad essere stata la peggiore sconfitta di Roma repubblicana, registrò il maggior numero di morti in un unico scontro fino alle grandi battaglie della prima guerra mondiale. Zama che segnò, oltre alla sconfitta di Annibale, la fine della potenza di Cartagine. Waterloo (forse in una classifica ideale al primo posto) che vide la disfatta definitiva di Napoleone, più la fine dei sogni egemonici della Francia in Europa. E, a mio modesto parere, Stalingrado: per le sofferenze causate ai soldati di ambedue gli schieramenti e alla popolazione, per la mole dei mezzi usati, per la sua durata, per l’intrinseco significato politico e infine perché marcò il punto di svolta della guerra a oriente durante il secondo conflitto mondiale. Infatti, dopo Stalingrado, l’iniziativa militare passò completamente nelle mani dell’Armata Rossa. Questo scritto è nato dalla consultazione di alcune fonti, la principale è il libro di Antony Beevor: “Stalingrado” (Ed. Rizzoli, anno 1998), di cui si è fatto un compendio estrapolando e unendo in forma logica, o per lo meno si spera, molti passi. Altre fonti importanti di consultazione sono state, Gli uomini di Stalin di Simon Sebag Montefiore (Ed. Rizzoli, anno 2005), La Battaglia di Stalingrado di Alfio Caruso (Ed. Longanesi 2012), l’insostituibile Wikipedia e altri siti on line di storia militare. Anticipo, dunque, che di ogni eventuale inesattezza o errore è solo mia responsabilità e non certo di queste ottime fonti.

Commento introduttivo

Stemma dell’NKVD
Stemma dell’NKVD

Leggere della battaglia di Stalingrado attraverso uno studio esclusivamente militare non riuscirebbe a comunicarne la realtà più cruda, un po’ come le carte geografiche di Hitler nella sua Wolfsschanze (1) (Tana del Lupo) di Rastenburg lo isolavano in un mondo di fantasia lontano dalle sofferenze dei suoi soldati. Si cercherà di rendere l’idea della lotta titanica che si svolse, oltre che con una narrazione storica convenzionale, anche con i racconti e le esperienze delle truppe dei due schieramenti. Queste includono diari di guerra, rapporti di cappellani, appunti personali, lettere e verbali degli interrogatori dei soldati tedeschi da parte dell’NKVD (Narodnij Komissariat Vnutrennič Del, Commissariato del Popolo per gli Affari Interni con compiti di polizia e sicurezza) che in futuro cambiò nome più volte dando anche origine al KGB (spionaggio/controspionaggio e sicurezza dei leader). Una delle fonti più prolifiche è stato l’archivio centrale del Ministero della Difesa russo a Podolsk che possiede i rapporti dettagliati, anche quotidiani, provenienti dal fronte di Stalingrado dell’Armata Rossa al capo del dipartimento politico a Mosca. In questi non sono solo descritte le azioni eroiche, ma anche “eventi straordinari” (eufemismo dei commissari del popolo per comportamenti proditorii) come diserzione, passaggio al nemico, codardia, incompetenza, ferite auto inflitte, “agitazioni antisovietiche” e persino ubriachezza. A Stalingrado le autorità sovietiche giustiziarono 13.550 dei loro soldati, l’equivalente di una divisione di fanteria. Lo scopo principale dell’azione dell’NKVD (diventata poi, parte dello SMERŠ, Smert Špionam, o “morte alle spie”, il servizio di controspionaggio militare), era di cercare di equilibrare il sacrificio di moltissimi soldati dell’Armata Rossa con la coercizione assolutamente brutale usata contro gli indecisi. La crudeltà quasi incredibile del sistema sovietico spiega in gran parte, ma non del tutto, perché tanti soldati sovietici combatterono dalla parte dei tedeschi. A Stalingrado, le prime linee del corpo d’armata tedesco contavano più di 50.000 cittadini sovietici in uniforme tedesca. Alcuni erano stati arruolati a forza, ma altri erano volontari. Nel corso delle battaglie finali, molti rapporti tedeschi sottolineano il coraggio e la lealtà di questi Hiwis (abbreviazione di Hilfswillige, collaboratori volontari). Nella Russia di oggi l’argomento è ancora tabù. Il significato che se ne dà più comunemente è che quegli uomini non erano più russi. Ancor oggi l’aspetto emotivo della Grande Guerra Patriottica rimane intatto quasi come a quei tempi. Per quanto riguarda i tedeschi, l’aspetto più impressionante non è tanto la questione palese del coinvolgimento della Wehrmacht in crimini di guerra, ma è la confusione tra causa ed effetto, in particolare tra i convincimenti politici e le loro conseguenze. Le truppe tedesche in Russia, come rivelano molte lettere di Stalingrado, erano nel più completo scompiglio morale. Gli obiettivi di sottomettere gli slavi e difendere l’Europa dal bolscevismo per mezzo di un attacco preventivo risultarono a dir poco controproducenti. Molti sopravvissuti tedeschi considerarono fino ai giorni nostri la battaglia di Stalingrado un’astuta trappola sovietica in cui furono attirati da un ripiegamento deciso in precedenza. Di conseguenza tendevano a considerarsi più come vittime che responsabili della disfatta.


1 Quartier generale di Adolf Hitler sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale, dal 24 giugno 1941, due giorni dopo l’aggressione all’Unione Sovietica, fino al 20 novembre 1944.


I principali protagonisti

Adolf Hitler
Adolf Hitler
Iosif Vissarionovič Džugašvili detto Stalin
Iosif Vissarionovič Džugašvili detto Stalin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Friedrich Wilhelm Ernst Paulus (Breitenau, 23 settembre 1890 – Dresda, 1 febbraio 1957)

Friedrich Wilhelm Ernst PaulusPaulus è stato un generale tedesco, feldmaresciallo durante la seconda guerra mondiale. Figura controversa, Paulus si dimostrò un abile e preparato ufficiale, idoneo al lavoro di pianificazione e di organizzazione e capace di progettare e dirigere ampie manovre offensive con truppe corazzate; tuttavia la sua condotta rigidamente aderente agli ordini superiori ed alcune sue decisioni ed incertezze durante la battaglia di Stalingrado che travolse il suo comando e le sue truppe, rimangono oggetto di valutazioni ampiamente contrastanti da parte di storici e specialisti. Figlio di un contabile, cercò senza riuscirvi di diventare cadetto della Marina Imperiale Tedesca, per breve tempo studiò legge all’Università di Marburgo. Decise quindi di lasciare l’università e si arruolò nel 111° reggimento di fanteria come ufficiale cadetto nel 1910. Il 4 luglio 1912 si sposò con Elena Rosetti – Solescu, un’aristocratica rumena. Dopo la Grande Guerra prestò servizio con diversi incarichi nello Stato Maggiore per oltre un decennio (1921-1933), quindi comandò per breve tempo una brigata motorizzata (1934-1935) prima di essere nominato il 1 giugno 1935 capo di Stato Maggiore del comando delle truppe motorizzate, incaricato di studiare l’equipaggiamento e le tattiche delle nuove forze corazzate tedesche. La sua attività di ufficiale di stato maggiore era accurata e coscienziosa. Gli piaceva lavorare fino a tarda notte, chino sulle mappe, con caffè e sigarette. Il suo hobby consisteva nel disegnare carte in scala della campagna di Napoleone in Russia. Agli altri ufficiali appariva più come uno scienziato che un generale. Le buone maniere di Paulus lo resero popolare tra gli ufficiali di grado superiore. Riuscì ad andare d’accordo persino con il turbolento von Reichenau, dopo esserne diventato capo di stato maggiore nell’agosto del 1939. Il loro lavoro di squadra impressionò altri ufficiali di grado superiore. Dopo la conquista della Francia gli fu affidato l’incarico di responsabile della pianificazione presso lo Stato maggiore generale. Paulus si dimostrò dotato di intelligenza analitica, disciplinato, riservato, metodico, esperto di tattica e strategia. Il 5 gennaio del 1942 gli fu assegnato il comando della 6a armata, iniziava così la fase più drammatica e controversa della sua vita e della sua carriera militare. Dotato di grande preparazione professionale, esperto di pianificazione e del lavoro di stato maggiore, organizzatore, stratega minuzioso e previdente, era un profondo conoscitore della tecnica della guerra con mezzi corazzati. Friedrich Paulus, pur se inesperto del comando diretto sul campo, sembrava adatto alla guida della sua vecchia armata, punta di diamante della prevista nuova offensiva tedesca in Unione Sovietica nell’estate 1942 (operazione Blu), nonostante i dubbi di alcuni ufficiali all’interno della Wehrmacht sulla sua forza di carattere e sulla risolutezza e energia. Le gravi perdite subite di uomini e mezzi, l’esaurimento delle truppe, le preoccupazioni per l’avvicinarsi dell’inverno e per i pericoli di una controffensiva sovietica alle sue spalle, minarono la resistenza fisica e psichica del generale che era afflitto da un vistoso tic al volto e da una gastroenterite nervosa. Mentre era prigioniero dei sovietici, Paulus divenne una voce critica del regime nazista, unendosi al “Comitato Nazionale per la Germania Libera”, organizzato su sollecitazione dell’URSS, e appellandosi ai soldati tedeschi perché si arrendessero. In seguito fu testimone dell’accusa al processo di Norimberga. Venne rilasciato nel 1953 e si stabilì a Dresda, nella Germania Est. Friedrich Paulus morì a Dresda nel 1957 a causa della SLA da cui era stato colpito e dove era diventato direttore dell’ufficio storico dell’esercito. Durante la breve e dolorosa malattia, Paulus mostrò un’ultima volta coraggio e calma, come aveva fatto durante tutta la sua carriera militare.

Vasilij Ivanovič Čujkov (Serebrjanye Prudy, 12 febbraio 1900 – Mosca, 18 marzo 1982)

Vasilij Ivanovič ČujkovČujkov è stato un generale sovietico e maresciallo dell’Unione Sovietica. Divenne celebre durante la seconda guerra mondiale in qualità di generale difensore di Stalingrado prima e di trionfatore della battaglia di Berlino poi. Di origine contadina si arruolò come volontario nell’Armata Rossa nel 1918 durante la Guerra Civile. Trascorse i primi quattro mesi in addestramento, quindi venne nominato, giovanissimo, comandante di compagnia. L’anno seguente, nel 1919, Čujkov operò, sempre in qualità di comandante di reggimento, nel fronte orientale contro le armate bianche e successivamente, nel 1920, sul fronte polacco. A 18 anni entrò nel partito comunista. Al termine del conflitto interno, Čujkov compì i propri studi presso l’Accademia Militare “M. V. Frunze” per poi passare all’Accademia di meccanizzazione e motorizzazione “J. V. Stalin”. Era uno degli ufficiali più risoluti. Le sue esplosioni di collera erano famose quanto quelle di Žukov. Aveva un viso forte da contadino e capelli folti tipicamente russi. Era anche dotato di un notevole senso dell’umorismo e una risata baritonale. Addetto militare in Cina nei primi mesi dell’Operazione Barbarossa, nel maggio del 1942, Čujkov venne nominato comandante della 64a armata che successivamente entrò in servizio nelle steppe del Don. L’abilità del generale emerse già in questa prima fase: a digiuno di esperienza di guerra moderna dopo gli anni passati in Cina e lontano dal fronte, studiò a fondo la tattica di guerra tedesca, individuandone i punti deboli. In particolar modo, Čujkov approfondì il rapporto fra le truppe a terra della Wehrmacht e le incursioni aeree, concludendo che la Luftwaffe era chiamata ad intervenire in battaglia ogni volta che i tedeschi preparavano un attacco o provavano a disperdere le concentrazioni di soldati sovietici oltre la linea del fronte. Il generale provò allora subito a scombinare la tattica dell’avversario, spingendo continuamente avanti le proprie truppe e piazzandole il più vicino possibile a quelle della Wehrmacht. In tal modo, si rendeva di fatto impossibile l’intervento aereo e si sfruttano le macerie del campo di battaglia come teatro dei combattimenti corpo a corpo, in cui i soldati sovietici erano più esperti. Le sue audaci manovre difensive permisero al resto delle truppe del Fronte del Don di schierarsi lungo il Volga a difesa di Stalingrado. L’11 settembre Čujkov fu convocato presso il comando del fronte, dove lo attendevano il generale Erëmenko ed il commissario politico Chruščëv2. Gli comunicarono di aver destituito il comandante della 62a armata, il generale Lopatin, perché sfiduciato di poter continuare a tenere Stalingrado nella disumana battaglia ingaggiata coi tedeschi, e gli offrirono il comando. Nel 1945 infine prese parte alle operazioni Vistola-Oder ed alla battaglia di Berlino. Fu Čujkov ad incontrare il generale Hans Krebs, che dopo il suicidio di Hitler tentò invano di aprire una trattativa di pace con i sovietici per conto del nuovo governo. Per i suoi meriti di guerra Čujkov fu onorato per quattro volte dell’Ordine di Lenin, due volte Eroe dell’Unione Sovietica, quattro dell’Ordine della Bandiera Rossa, tre dell’Ordine di Suvorov di primo grado, dell’Ordine della Stella Rossa e varie medaglie al merito. È l’unico generale sovietico sepolto non a Mosca, bensì a Stalingrado.

Georgij Konstantinovic Žukov (Strelkovka, 1° dicembre 1896 – Mosca, 18 giugno 1974)

Georgij Konstantinovic ŽukovŽukov fu un generale e politico sovietico. È noto il suo ruolo fondamentale come comandante sul campo delle forze sovietiche dell’Armata Rossa in alcune battaglie decisive della seconda guerra mondiale che permisero la liberazione del territorio dell’Unione Sovietica occupato dalla Wehrmacht tedesca. Nella fase finale della guerra, Žukov ebbe ancora un ruolo di grande rilievo nelle grandi offensive del 1944-45 che si conclusero con l’occupazione della maggior parte dell’Europa Orientale ed infine con la conquista della stessa capitale tedesca e la fine del Terzo Reich di Hitler. Per le sue notevoli capacità militari, Žukov, considerato tra i migliori generali della seconda guerra mondiale, è stato definito come il “generale che non ha mai perduto una battaglia” e i soldati che combatterono sotto il suo comando lo ribattezzarono “Spasitél, il Salvatore, Ariete, Uragano, Invincibile”. Partecipò al primo conflitto mondiale come soldato di cavalleria. A causa dell’abbandono della guerra della Russia, Žukov si vide obbligato ad arruolarsi nell’Armata Rossa durante la rivoluzione come comandante di squadrone nella 1a armata di cavalleria. Comandante di reggimento di cavalleria nel 1925, venne ripreso ufficialmente per ubriachezza e violenze nel 1929, il che non impedì che nel 1933 venisse promosso alla testa della 4a divisione Cosacchi del Don. Nel 1938, fu mandato in Estremo Oriente, al comando del Primo gruppo d’armate sovietiche in Mongolia per organizzare e comandare la guerra di frontiera contro i giapponesi, impegnati nella zona con l’Armata Kwantung . Dopo un periodo di scontri di frontiera combattuti senza che venisse dichiarata la guerra, le scaramucce si estesero in un conflitto vero e proprio, con l’impiego da parte dei giapponesi di circa 80.000 uomini, 180 carri armati e 450 aerei. Punto di svolta del conflitto fu la Battaglia di Khalkhin Gol. Žukov, dopo aver ottenuto rinforzi, il 15 agosto 1939, passò all’offensiva, ordinando quello che a prima vista sembrò un convenzionale attacco frontale, ma, invece di lanciare tutte le sue forze all’assalto, tenne di riserva due brigate di carri armati, che successivamente riuscirono ad accerchiare le forze nemiche avanzando ai lati dello scontro principale. L’intera 6a armata giapponese, circondata e senza più rifornimenti, catturati anch’essi dalle forze corazzate sovietiche, si vide costretta ad arrendersi dopo pochi giorni. Per questa operazione Žukov ottenne il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Questa battaglia rimase poco conosciuta al di fuori dell’Unione Sovietica, visto che il 1 settembre seguente era iniziata in Europa la seconda guerra mondiale. Grazie a questa importante vittoria, Žukov divenne un personaggio militare affermato al livello nazionale e stimato dai vertici dello stato maggiore. Nel 1940 fu infatti nominato Comandante del Distretto Militare di Kiev e più tardi Capo di Stato Maggiore generale. Nel 1941 in contrasto con Stalin sulla necessità di abbandonare Kiev, venne esonerato dal compito di Generale di Stato Maggiore, restando tuttavia membro dello stesso e divenendo comandante del fronte di riserva. In tale nomina riuscì, nonostante tutto, a bloccare nel settore di Smolensk, l’inesorabile avanzata delle forze tedesche che puntavano su Mosca. L’8 settembre 1941 prese su di sé il comando del fronte di Leningrado e nell’ottobre dello stesso anno assunse il comando di tutto il fronte occidentale riuscendo a imporre una quasi definitiva battuta d’arresto alle truppe tedesche e a difendere magistralmente Mosca. Dopo altri contrasti con Stalin e conseguenti declassamenti, emerse nuovamente, riuscendo ad organizzare, in condizioni del tutto sfavorevoli, la difesa di Stalingrado ed il successivo contro attacco, grazie al quale l’Armata Rossa riuscì ad annientare in maniera definitiva la 6a armata tedesca di Friedrich Paulus. Fu uno degli ideatori dell’operazione Urano e partecipò alla direzione della successiva Operazione Piccolo Saturno. Il 1 gennaio 1943, Stalin nominava Žukov, in riconoscimento dei suoi meriti a Leningrado, Mosca e Stalingrado, maresciallo dell’Unione Sovietica. Nel luglio del 1943, l’Armata Rossa sotto il controllo di Žukov (e del generale Vasilevskij) poté bloccare l’ultima grande offensiva tedesca nella Battaglia di Kursk e iniziare l’avanzata verso Ovest. Nel settembre del 1944 fu inviato in Polonia a combattere nel saliente di Varsavia. Il 15 novembre, ebbe il comando delle operazioni che avrebbero portato alla conquista di Berlino. Mentre inglesi, canadesi e americani avanzavano dalla Francia, conquistando il lato ovest della Germania, Žukov varcato l’Oder, batté gli americani sul tempo conquistando per primo una Berlino in macerie. L’8 maggio 1945, ricevette la dichiarazione di resa di tutte le forze armate tedesche. Dopo ciò fu nominato comandante delle truppe sovietiche in Germania. A causa delle crescenti ostilità con Stalin (tanto forti da spingere Stalin a farlo mettere sotto indagine dall’NKVD), il quale temeva Žukov perché lo vedeva come un pericoloso concorrente del favore popolare, fu destinato a incarichi di scarsa importanza. Durante le commemorazioni per la battaglia di Berlino tenutesi il 4 maggio 1948 la stampa non citò mai il suo nome, nell’ottica di una spersonalizzazione della storia della guerra che mise in primo piano il soldato semplice e il Partito. Ministro della Difesa nel 1955, ebbe un ruolo fondamentale nello sventare il tentativo di allontanare dal potere Nikita Sergeevič Chruščëv (2), allora Primo Segretario del PCUS, portato avanti da numerosi appartenenti al Presidium, tra cui Georgij Maksimilianovič Malenkov, Vjačeslav Michajlovič Molotov, Pervuchin, Saburov, Lazar’ Moiseevič Kaganovič, Klyment Jefremovyč Vorošylov e Nikolaj Aleksandrovič Bulganin. Approfittando di un viaggio del Primo Segretario all’estero, ne chiesero le dimissioni durante la riunione del Presidium del 18 giugno 1957, ma Chruščëv, non accettando la decisione, chiese che si pronunciasse in merito il Comitato Centrale del Partito. A questo punto entrò in gioco Žukov che, organizzando il trasporto tramite aerei militari di tutti i membri del Comitato sparsi per l’Unione, permise a quest’ultimo di rovesciare la decisione del Presidium, salvando il potere di Chruščëv. Ma proprio l’importanza raggiunta in questa occasione dal Maresciallo fu la causa della sua destituzione, motivata dallo stesso Chruščëv con il “culto della personalità di Žukov e della sua tendenza all’avventurismo, che apre la strada al bonapartismo”. Dopo un voto del Plenum del Comitato Centrale, l’ormai ex Ministro venne anche costretto a fare pubblicamente autocritica sulla Pravda e il suo posto fu occupato dal Maresciallo Rodion Jakovlevič Malinovskij. Visse quindi come semi recluso e lontano dalla vita pubblica fino al 9 maggio 1965. Per il ventesimo anniversario della resa tedesca, avvenuta l’8 maggio 1945, in occasione delle celebrazioni ufficiali, fu invitato ad un banchetto al Cremlino da Leonid Brežnev. Dopo quest’avvenimento, pur essendo stato riabilitato ufficialmente, non ricomparve più in pubblico fino alla sua morte. Žukov è oggi considerato uno fra i più grandi strateghi della seconda guerra mondiale e tra i migliori di cui disponessero i sovietici. Nonostante un carattere e un comportamento a volte violento e brutale, i suoi metodi ottennero spesso l’impossibile e salvarono la situazione soprattutto a Leningrado e Mosca nel 1941. Ufficiale di vaste vedute strategiche e capace di concepire grandiosi progetti offensivi, a volte per un eccesso di precipitazione commise errori nella fase esecutiva (con gravi perdite per le sue truppe). Esempi di suoi insuccessi sono: l’Operazione Marte del dicembre 1942 (Seconda battaglia di Ržev) e la battaglia di Rumantsevo nel febbraio 1943 (sacca di Demjansk). Anche nella battaglia finale di Berlino, il maresciallo, per eccessiva fretta, compì alcuni costosi errori tattici. Alcune grandi operazioni brillantemente condotte da Žukov furono invece la Quarta battaglia di Kharkov (agosto 1943), la marcia sui Carpazi nel marzo 1944 (Offensiva di Proskurov) e la formidabile offensiva dell’Oder nel febbraio 1945. Žukov fu uno dei militari sovietici più decorati in assoluto e l’unico a ricevere quattro volte il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica oltre a Brežnev, che però se li attribuì da solo. Inoltre fu uno dei tre ufficiali a ricevere due volte l’Ordine della Vittoria.


2 Nikita Sergeevič Chruščëv spesso trascritto in lingua italiana come Krusciov (Kalinovka, 15 aprile 1894 – Mosca, 11 settembre 1971) è stato un politico sovietico. Dopo le lunghe lotte per il potere seguite alla morte del dittatore Stalin, e il breve periodo di leadership di Georgij Malenkov, Chruščëv divenne il leader dell’Unione Sovietica. Fu Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) dal 1953 al 1964. Estromesso con una cospirazione guidata da Leonid Brežnev, fu obbligato alle dimissioni e a ritirarsi a vita privata. Alla sua morte gli furono negati i funerali di stato. È l’unico segretario del PCUS non seppellito al Cremlino.


L’inizio di tutto: operazione Barbarossa

I funzionari dell’ambasciata sovietica di Berlino la mattina del 21 giugno 1941 erano in preda ad una grande agitazione, Mosca chiedeva insistentemente chiarimenti sui vasti preparativi militari lungo tutta la frontiera tra Germania e URSS. Tutti i tentativi di contattare il ministro degli esteri del Reich von Ribbentrop o il segretario di stato von Weizsacker erano falliti. Al Cremlino lo stato di nervosismo era ai massimi livelli, fonti dell’NKVD avevano riferito di decine di incursioni aeree sul territorio nazionale. La Wehrmacht non aveva fatto nulla per nascondere i preparativi, eppure proprio la mancanza di segretezza sembrava confermare l’idea escogitata dalla mente contorta di Stalin che tutto questo dovesse essere un piano di Hitler per ottenere maggiori concessioni. L’ambasciatore sovietico a Berlino, Vladimir Dekanozov (3), condivideva la convinzione di Stalin che ci fosse una campagna di disinformazione escogitata dagli inglesi. Nemmeno la confermata notizia dello schieramento di 180 divisioni tedesche al confine li aveva minimamente preoccupati. Il ministro degli esteri sovietico aveva convocato l’ambasciatore tedesco a Mosca von der Schulenburg che, pur di fronte agli evidenti preparativi tedeschi, non aveva ammesso nulla. Von der Schulenburg, diplomatico della vecchia scuola e convinto assertore del pensiero di von Bismarck secondo cui la Germania non avrebbe mai dovuto fare la guerra alla Russia, era stupito dell’ignoranza del Cremlino. Due settimane prima pranzando privatamente con Dekanozov, a quel tempo a Mosca, lo aveva avvertito dei piani di Hitler. Egli si sentiva assolto dai suoi doveri di lealtà verso il regime nazista dopo che il Führer gli aveva mentito così smaccatamente, sostenendo di non avere nessun piano contro la Russia (4). Lo sbalordito Dekanozov aveva invece pensato a una trappola (5). Stalin, informato, aveva reagito in maniera simile, affermando: “Adesso la disinformazione ha raggiunto il livello di ambasciata”. Era sicuro che fosse tutto un complotto (angliskajia provokačja) escogitato da Winston Churchill per coinvolgere l’Unione Sovietica nella guerra. La spia sovietica Richard Sorge (6), che operava a Tokyo servendosi di intrallazzi amorosi e edonistici come copertura per il proprio impareggiabile lavoro di raccolta di informazioni, fu addirittura deriso da Stalin: “C’è questo bastardo che mette su fabbriche e bordelli in Giappone e osa persino indicare il 22 giugno come la data dell’attacco tedesco. E ora voi dite che io dovrei pure credergli?”. Il dittatore viveva nel timore continuo di provocare Hitler. Stalin non riusciva a convincersi che gli eventi fossero al di fuori del suo controllo, nonostante gli avvisi di rumori di motori in riscaldamento al di là del confine, avvistamenti di genieri tedeschi che gettavano ponti sui fiumi, un rapporto del comando militare di Kiev presagente che l’invasione fosse questione di ore ed infine, un’informativa sulle navi tedesche nei porti russi che avevano improvvisamente interrotto le operazioni di carico/scarico merci salpando in tutta fretta. Alle 00:30 arrivava la notizia che un terzo disertore dell’esercito tedesco confermava l’imminenza dell’attacco. Alfred Liskov, un operaio comunista di Berlino, aveva attraversato a nuoto il fiume Bug per riferire che alla sua unità era stato letto l’ordine di invasione. Stalin ordinò che venisse fucilato “per aver fornito false informazioni”. La notte tra il 21 ed il 22 giugno, il massimo che i generali erano riusciti ad ottenere, fu un ordine di preallarme anziché di mobilitazione la quale poteva essere interpretato dai tedeschi come una provocazione. La Marina ed alcuni ufficiali dell’Armata Rossa avevano tranquillamente ignorato gli ordini contro la mobilitazione. Purtroppo per molte unità anche il preallarme, emanato dopo la mezzanotte, giunse troppo tardi. A Berlino, a notte inoltrata, l’ambasciatore sovietico fu convocato al ministero degli esteri. Dekanozov era un uomo piccolo, di circa 160 centimetri di altezza, con la testa calva ed il naso a becco, dall’aspetto non molto carismatico. Hitler, quando lo aveva ricevuto la prima volta, gli aveva messo accanto due delle sue SS più alte, tanto per sottolineare il contrasto. Eppure l’ambasciatore era un uomo astuto e pericoloso per i suoi sottoposti. Chiamato un tempo “il boia di Baku” per le sue repressioni nel Caucaso, aveva fatto approntare all’ambasciata una camera delle torture e delle esecuzioni e la usava contro i sospetti traditori della comunità sovietica. Il ministro degli esteri von Ribbentrop (7), in preda ad un grande nervosismo, presentava un memorandum in cui si annunciavano contromisure militari (non pronunciò mai la parola guerra), motivandolo con le provocazioni e gli atti ostili dell’URSS nei confronti della Germania. Finalmente l’ambasciatore sovietico colse in pieno il significato dell’incontro e capì, abbandonando furiosamente l’incontro, che l’attacco era già in atto. Al Cremlino, alle 3.15 del mattino, anche i più fanatici ottimisti si convinsero che la Germania era in guerra con l’Unione Sovietica. Peraltro in seguito all’attacco le linee di comunicazione col fronte si erano interrotte, quindi la nomenclatura non aveva nessuna notizia, la paralisi era totale e Stalin oltretutto non si pronunciava. Un messaggio di un attacco aereo alla base di Sebastopoli era stato messo in dubbio come una mossa dei militari per forzare la mano a Stalin. Due ore dopo l’ambasciatore tedesco, con lacrime di rabbia, presentava la dichiarazione di guerra al ministro degli esteri Molotov (8), aggiungendo che la decisione di Hitler era una follia. Stalin informato rimaneva annichilito. Aveva parecchio su cui riflettere in quanto ad errori di calcolo e valutazione. Il dittatore, famoso per la sua inesorabile astuzia, era caduto in una trappola che aveva contribuito in gran parte a preparare. Nei giorni seguenti le notizie dal fronte erano tanto catastrofiche che Stalin, la cui natura di oppressore era intaccata da una forte vena di codardia, convocò Berija (9) e Molotov per una discussione segreta. Il tema era se non fosse il caso di tentare di fare la pace concedendo ampi territori ad Hitler. L’ambasciatore bulgaro convocato per assumere un ruolo di mediatore, sorprendentemente si rifiutò, affermando: “Anche se vi ritirerete fino agli Urali, alla fine vincerete”. Il popolo sovietico non sapeva nulla di quello che stava accadendo, solo a mezzogiorno alla radio, la voce di Molotov e non quella di Stalin annunciò l’attacco subito. La reazione della popolazione fu immediata, uomini e donne, a migliaia, si offrirono volontari, furono organizzate collette, un vecchio di ottanta anni si infuriò perché fu respinto da un centro di arruolamento. La propaganda sovietica negli anni passati aveva ben lavorato, la gente era convinta di vivere in un paese tecnologicamente estremamente avanzato e quindi invincibile. I mesi successivi avrebbero minato queste certezze.

Avanzata della Wehrmacht nel 1941
Avanzata della Wehrmacht nel 1941

Al di là della frontiera l’esercito tedesco era pronto e molto ottimista sull’esito della campagna, d’altra parte era comprensibile, i rapporti dei servizi d’informazione, anche stranieri, erano concordi nell’aspettarsi che l’Armata Rossa (anche e soprattutto in seguito alle recenti purghe staliniane) crollasse in poco tempo. La Wehrmacht aveva riunito una forza d’invasione mai vista, 3.500.000 uomini (3.000.000 della Wehrmacht più 500.000 delle truppe alleate ungheresi, rumene ed italiane), 3.350 carri armati, 7.000 cannoni e più di 2.000 aerei. Il trasporto truppe su camion era migliorato, eppure l’esercito tedesco, famoso per la sua guerra lampo, dipendeva ancora da più di 600.000 cavalli per il traino di cannoni, ambulanze e viveri. La stragrande maggioranza delle divisioni di fanteria erano ancora appiedate, l’avanzata nel suo complesso non avrebbe potuto essere più veloce di quella napoleonica della Grande Armée nel 1812. Che quella che era in imminenza di iniziare sarebbe stata una guerra diversa dalle altre si era capito con gli ordini speciali emanati ai reggimenti la sera stessa, in cui si parlava di “provvedimenti collettivi di forza contro i villaggi”, di “ordine riguardante i commissari del popolo”. I commissari politici, gli ebrei e i partigiani, se catturati, dovevano essere immediatamente consegnati alle SS o alla polizia segreta. Infine un “ordine di giurisdizione” privava i civili russi di qualsiasi diritto di appello ed esonerava di fatto da qualsiasi pena per crimini commessi contro di loro, compresi omicidi, violenze e saccheggi. Quando il tenente Alexander Stahlberg fu avvertito in privato dell’ordine riguardante i commissari del popolo da suo cugino Henning von Tresckow (10), in seguito uno dei fautori del complotto contro Hitler del luglio 1944, esclamò: “Sarebbe un assassinio!” “Proprio così”, convenne von Tresckow. Stahlemberg chiese poi da dove venisse l’ordine. “Dall’uomo a cui hai prestato il tuo giuramento”, gli rispose il cugino. “Come ho fatto anch’io”, aggiunse. Un certo numero di comandanti rifiutò di applicare e trasmettere queste istruzioni. In genere si trattava di ufficiali che rispettavano l’etica tradizionale dell’esercito e disprezzavano i nazisti. I generali erano quelli che avevano meno giustificazioni. Più di 200 erano presenti al discorso di Hitler in cui non lasciava alcun dubbio sul tipo di guerra che li aspettava. Doveva essere una “battaglia tra due visioni del mondo in opposizione”, una “battaglia d’annientamento contro i commissari bolscevichi e l’intellighenzia comunista”. L’idea di una Rassenkampf, o “guerra di razze”, forniva alla campagna di Russia un carattere del tutto eccezionale e senza precedenti. Molti storici adesso sostengono che la propaganda nazista era riuscita a disumanizzare i sovietici agli occhi della Wehrmacht così efficacemente da renderla moralmente insensibile. L’indottrinamento nelle forze armate era stato così incisivo che l’opposizione alle esecuzioni di massa degli ebrei fu quasi trascurabile, deliberatamente confusi con il concetto di provvedimenti di sicurezza di retrovia contro i partigiani. Molti ufficiali si sentivano oltraggiati dalla rinuncia alle norme del diritto internazionale sull’Ostfront, ma solo una esigua minoranza espresse il proprio disgusto per i massacri, anche quando divenne chiaro che appartenevano ad un programma di sterminio di razza. Il 20 agosto 1941, i cappellani della 295a divisione di fanteria (6a armata), informarono il colonnello Helmut Groscurth (11), il capo di stato maggiore, che novanta bambini ebrei tra i pochi mesi e i sette anni, i cui genitori erano già stati fucilati, vivevano in condizioni aberranti nella città di Belja Cerckov e comunque erano destinati ad essere uccisi. Groscurth, figlio di un pastore e convinto antinazista, andò a cercare il comandante del distretto per chiedergli di porre fine alle esecuzioni. Il colonnello delle SS Paul Blobel (12), comandante del Sonderkommando (letteralmente: unità speciale), lo minacciò di riferire la sua ingerenza al ReichFührer delle SS Himmler (13). Il feldmaresciallo Von Reichenau, comandante della 6a armata, diede ragione a Blobel. I novanta bambini ebrei furono fucilati la sera successiva da miliziani ucraini, per non turbare i sentimenti del Sonderkommando. Dopo la guerra molti ufficiali, in particolare quelli di stato maggiore, sostennero di non essere a conoscenza degli eccidi, ma è piuttosto difficile crederlo alla luce di tutte le prove che sono emerse, anche dai loro archivi. Non solo erano a conoscenza delle attività delle SS, ma collaborarono con loro, fornendo truppe e mezzi durante i rastrellamenti degli ebrei, per esempio a Kiev, fino al burrone di Babi Yar (15). I simboli nazisti sulle uniformi e il giuramento personale di fedeltà ad Hitler avevano posto fine ad ogni pretesa dell’esercito di tenersi alla larga dalla politica. La Wehrmacht, quindi, attacca con tre gruppi di armate (Nord, Centro e Sud, rispettivamente al comando dei feldmarescialli [16] von Leeb [17], von Bock [18] e von Runstedt [19]). La strategia generale era che a nord si facesse cadere Leningrado assicurandosi quindi i porti sul Baltico essenziali per i traffici commerciali, a sud ci si garantisse la maggiore zona agricola e industriale (l’Ucraina) della Russia, al centro (il gruppo di armate più forte) l’obiettivo era Mosca (obiettivo primario dell’Operazione Barbarossa) considerata il maggior centro industriale e amministrativo dell’URSS. A quel punto L’unione Sovietica sarebbe caduta. La durata della campagna fu stabilita in dieci settimane.

Gradi nell’esercito del Terzo Reich: 1) Generalfeldmarschall (Feldmaresciallo), 2) Generaloberst (Colonnello generale), 3) General (Generale, con l’aggiunta dell’arma di provenienza, per es. General der Infanterie), 4) Generalleutnant (Tenente generale), 5) Generalmajor (Maggiore generale), 6) Oberst (Colonnello), 7) Oberstleutnant (Tenente colonnello), 8) Major (Maggiore), 9) Hauptmann (Capitano), 10) Oberleutnant (Tenente), 11) Leutnant (Sottotenente).


3 Vladimir Georgievich Dekanozov (Dekanozishvili) (Baku, giugno 1898 – Mosca 23 dicembre 1953). Politicamente molto legato a Berija (capo dell’NKVD), dopo la caduta di quest’ultimo nel dicembre 1953, fu arrestato e fucilato.

4 Hitler in seguito si prese la sua vendetta, von der Schulenburg, scelto dai cospiratori del luglio 1944 come ministro degli esteri dopo l’attentato a Rastenburg, fu impiccato il 10 novembre dello stesso anno.

5 Secondo Simon Sebag Montefiore, Gli uomini di Stalin, anno 2005, Dekanozov invece non era d’accordo sulla tesi della disinformazione, ma fu redarguito da un autorevole membro del Politburo con le parole: “Come ti permetti di contraddire il compagno Stalin! Lui sa più cose di tutti noi e vede più lontano”.

6 Richard Sorge (Sabunchi, 4 ottobre 1895 – Tokyo, 7 novembre 1944) tedesco, agente segreto dell’Unione Sovietica. Dal 1933 in Giappone sotto copertura giornalistica di un settimanale tedesco. Il 20 maggio 1941 venne in possesso del testo del messaggio di von Ribbentrop all’addetto militare tedesco in Giappone, dove si comunicava il giorno dell’attacco all’URSS. Avvisò subito Mosca, ma i suoi rapporti furono deliberatamente ignorati da Stalin e dal governo russo. Sospettato di spionaggio, venne arrestato il 18 ottobre dello stesso anno, processato e ritenuto colpevole. Fu impiccato il 7 novembre del 1944.

7 Joachim von Ribbentrop (Wesel, 30 aprile 1893 – Norimberga, 16 ottobre 1946) processato a Norimberga, condannato e giustiziato. Probabilmente non condivideva del tutto la decisione dell’attacco all’URSS, infatti considerava il trattato di non aggressione fra la Germania Nazista e l’Unione Sovietica, firmato a Mosca il 24 agosto 1939, il suo capolavoro diplomatico.

8 Vjačeslav Michajlovič Molotov (Kukarka, 9 marzo 1890 – Mosca, 8 novembre 1986) unico tra i principali rivoluzionari bolscevichi a sopravvivere alle Grandi Purghe staliniane degli anni trenta. Firmatario del trattato di non aggressione con la Germania nazista, ebbe un ruolo importantissimo nella diplomazia dell’URSS negli anni della guerra, collaborò alla costituzione dell’ONU. Si oppose alla destalinizzazione di Chruščëv. Dal 1957 perse progressivamente potere fino ad essere estromesso del tutto da ogni funzione.

9 Lavrentij Pavlovič Berija (Sukhumi, 29 marzo 1899 – Mosca, 23 dicembre 1953) onnipotente capo dell’NKVD e uno dei principali collaboratori di Stalin. Alla morte di quest’ultimo assurse come il più potente tra i massimi dirigenti che, infatti, lo temevano molto. Il 26 giugno 1953, ad una riunione speciale del presidium, Chruscev lo attaccò, Molotov e gli altri rapidamente parlarono contro di lui e ne proposero l’arresto. Il complotto era stato accuratamente preparato, Berija fu completamente colto di sorpresa. “Che cosa sta succedendo, Nikita?” chiese Berija. “Perché mi stai facendo le pulci?” A quel punto, ad un segnale convenuto, il maresciallo Zukov con altri ufficiali armati fecero irruzione, lo afferrarono e lo portarono in un bunker del distretto militare di Mosca. Il 23 dicembre 1953 fu processato da una corte (illegale) senza difensore e diritto d’appello e condannato alla pena capitale perché colpevole di: 1) tradimento (principalmente per avere chiesto all’ambasciatore di Bulgaria di mediare la pace presso Hitler nel 1941, nessuno menzionò che egli agì per ordine di Stalin e Molotov); 2) terrorismo (partecipazione alle purghe nell’Armata Rossa nel 1941); 3) attività controrivoluzionaria durante la guerra civile. A lui e a Dekanozov furono praticamente imputati la maggior parte dei crimini ordinati da Stalin. La messa fuori gioco di Berija servì anche a riportare l’apparato di polizia sotto il completo controllo del partito. Lo stesso giorno della sentenza, venne spogliato, restando in biancheria intima, alle mani gli furono messe delle manette che vennero fissate al muro. Berija supplicò in ginocchio di essere risparmiato, facendo un tale baccano che dovettero infilargli un asciugamano in bocca. Il suo carnefice, il generale Batickij (che per questo incarico poi fu promosso maresciallo dell’Unione Sovietica) mirò dritto alla fronte. Questa è la versione più accreditata della caduta di Berija.

10 Henning von Tresckow (Magdeburgo, 10 gennaio 1901 – Bialystok, 21 luglio 1944) si suicidò al fronte con una bomba a mano alla testa dopo aver saputo del fallimento del colpo di stato del 20 luglio. Per proteggere i congiurati, cercò di simulare un attacco partigiano nella terra di nessuno. Quando gli agenti nazisti scoprirono il suo coinvolgimento nella congiura, il suo corpo venne riesumato e bruciato nel forno crematorio del campo di concentramento di Sachsenhausen. La moglie e i figli vennero arrestati dalla Gestapo, ma riuscirono a sopravvivere alla guerra.

11 Deceduto di tifo esantematico in un campo di prigionia in URSS nell’aprile 1943.

Paul Blobel

12 Paul Blobel (Potsdam, 13 agosto 1894 – Landsberg am Lech, 8 giugno 1951) ufficiale delle SS con il grado di SS-Standartenfuhrer (corrispondente al grado nell’esercito di colonnello). Fu ritenuto responsabile di 59.018 esecuzioni (principale imputato per il massacro di Babi Yar). Condannato a morte dal tribunale di Norimberga, venne impiccato nella prigione di Landsberg.

13 Heinrich Luitpold Himmler (Monaco di Baviera, 7 ottobre 1900 – Luneburgo, 23 maggio 1945) Reichsführer delle Schutzstaffel (SS) dal 1929, comandante della polizia dal 1936 e delle forze di sicurezza del Terzo Reich (Reichssicherheitshauptamt o RSHA, Ufficio centrale della sicurezza del Reich) dal 1939; nel 1943 fu nominato ministro dell’Interno del Reich. Fu uno degli uomini più importanti della Germania nazista. Regista e organizzatore della Soluzione finale (lo sterminio totale degli ebrei), il 22 maggio 1945 fu catturato da una pattuglia di soldati inglesi. Rivelata la propria identità nella speranza di assicurarsi un trattamento privilegiato, sottoposto a perquisizione, si uccise rompendo una fiala di cianuro nascosta tra i denti.

14 Einsatzgruppen (letteralmente «unità operative») erano speciali reparti tedeschi, composti da uomini delle SS e della polizia, che operarono nel corso della seconda guerra mondiale. Le Einsatzgruppen furono impiegate prevalentemente in Unione Sovietica e Polonia. Il loro compito principale era l’annientamento di ebrei, zingari e commissari politici, ottenuto mediante fucilazioni di massa e l’utilizzo di autocarri convertiti in camere a gas: i Gaswagen.

15 I tedeschi arrivarono a Kiev il 19 settembre 1941. I partigiani e i servizi sovietici dell’NKVD avevano minato una serie di edifici nel centro della città e li fecero esplodere il 24 settembre provocando centinaia di vittime fra le truppe tedesche e lasciando oltre 50.000 civili senza tetto. Il 28 settembre vennero affissi per la città manifesti recanti la dicitura seguente: “Tutti gli ebrei che vivono a Kiev e nei dintorni sono convocati alle ore 8 di lunedì 29 settembre 1941, all’angolo fra le vie Melnikovskij e Dochturov (vicino al cimitero). Dovranno portare i propri documenti, danaro, valori, vestiti pesanti, biancheria ecc. Tutti gli ebrei non ottemperanti a queste istruzioni e quelli trovati altrove saranno fucilati. Qualsiasi civile che entri negli appartamenti sgomberati per rubare sarà fucilato”. I più, inclusi i 175.000 della comunità ebraica di Kiev, pensarono che gli ebrei sarebbero stati deportati, invece era già stato deciso di ucciderli come rappresaglia agli attentati del 24 settembre, ai quali erano peraltro estranei. Gli ebrei di Kiev si radunarono presso il cimitero, aspettando di essere caricati sui treni, quando capirono era troppo tardi per fuggire. Vennero condotti in gruppi di dieci attraverso un corridoio di soldati, come descritto da A. Kuznetsov: “Non c’era modo di schivare o sfuggire ai colpi brutali e cruenti che cadevano sulle loro teste, schiene e spalle da destra e sinistra. I soldati continuavano a gridare: Schnell, schnell! (In fretta! in fretta!) ridendo allegramente, come se stessero guardando un numero da circo; trovavano anche modi di colpire ancora più forte nei punti più vulnerabili: le costole, lo stomaco e l’inguine”. Gli ebrei furono obbligati a spogliarsi, picchiati se resistevano, infine uccisi con armi da fuoco sull’orlo del fossato. Secondo l’Einsatzbefehl der Einsatzgruppe Nr. 101, almeno 33.771 ebrei di Kiev e dintorni vennero trucidati a Babij Jar fra il 29 e il 30 settembre 1941: abbattuti sistematicamente con le mitragliatrici. Almeno 60.000 persone, inclusi rom e prigionieri di guerra russi vennero uccisi in seguito in questo sito. Esecutore del massacro fu l’Einsatzgruppe C, supportato da membri del battaglione Waffen-SS e da unità della polizia ausiliaria ucraina. La partecipazione di collaborazionisti a questi eventi, oggi documentata e provata, è tema di un pubblico e doloroso dibattito in Ucraina.

16 Feldmaresciallo (in tedesco Feldmarschall, in inglese Field Marshal ovvero “maresciallo di campo”) è un grado presente nell’esercito di alcuni stati (fra cui il Regno Unito) nonché, in passato, nel Sacro Romano Impero, nell’Impero Austriaco ed in vari stati tedeschi (in seguito presente nella Germania unita), che può essere assegnato ad ufficiali in servizio solo in tempo di guerra. Il suo simbolo per eccellenza è il bastone da feldmaresciallo.

Wilhelm Ritter von Leeb17 Wilhelm Ritter von Leeb (Landsberg am Lech, 5 settembre 1876 – Füssen, 29 aprile 1956) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco durante la seconda guerra mondiale. Diede un contributo determinante durante la campagna di Francia. Ostile al Nazionalsocialismo e contrario al piano di penetrazione del Caucaso, a suo dire un’offensiva senza speranza, chiese di essere sollevato dai suoi incarichi e fu accontentato.

Fedor von Bock18 Fedor von Bock (Küstrin, 3 dicembre 1880 – Oldenburg in Holstein, 4 maggio 1945) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco. Sconfitto con le sue forze nei pressi di Mosca, gli vennero sottratti gli incarichi militari. Solo nell’estate del 1942 tornò a svolgere le sue mansioni dirigendo un’offensiva nel Caucaso. Contrasti con il Führer segneranno il suo definitivo esonero nel novembre del medesimo anno. Rimase vittima di un bombardamento aereo alleato nel 1945.

Karl Rudolf Gerd von Rundstedt19 Karl Rudolf Gerd von Rundstedt (Aschersleben, 12 dicembre 1875 – 24 febbraio
1953) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale. Nel maggio 1940 gli furono affidate le armate che avrebbero dovuto operare lo sfondamento principale in Francia. L’operazione ebbe un grande successo. Nella campagna di Russia, nel 1942, per contrasti con Hitler fu trasferito ad altro incarico. Responsabile in Francia dopo lo sbarco degli alleati, si dimise, dopo l’ennesimo contrasto con Hitler, poiché non gli veniva data la necessaria libertà strategica. Richiamato in servizio nel settembre 1944, sotto il suo comando respinse gli alleati nell’operazione Market Garden in Olanda e guidò le ultime controffensive tedesche nelle Ardenne.


“Date un calcio alla porta e tutta quella marcia impalcatura crollerà” Hitler

Di rado un attaccante aveva avuto i vantaggi della Wehrmacht nel giugno 1941. Poiché l’Armata Rossa aveva ricevuto l’ordine di non rispondere alle “provocazioni”, gran parte delle truppe non sapevano come reagire. Persino dopo dodici ore dall’inizio delle ostilità Stalin sperava in un accordo e frenava sulla decisione di lasciare che l’Armata Rossa reagisse. La Luftwaffe in due giorni aveva distrutto, per lo più al suolo, più di duemila velivoli nemici. Le perdite tra i piloti sovietici furono imponenti. “I nostri piloti avevano la sensazione di essere già cadaveri al momento del decollo”, confidò un ufficiale ad un commissario del popolo qualche tempo dopo. Due unità corazzate delle armate del gruppo di centro in cinque giorni erano penetrate per 320 km fino a Minsk, 30.000 soldati sovietici erano rimasti intrappolati e 2.500 carri armati erano stati distrutti. Il LVI Panzerkorps (feldmaresciallo von Manstein [20]) del gruppo di armate nord, percorrendo 80 km al giorno, era a metà strada per Leningrado. “Questa spinta impetuosa era la realizzazione del sogno di un comandante di truppe corazzate”, von Manstein. Il gruppo di armate Sud incontrò invece una resistenza maggiore poiché le truppe nemiche in quel settore erano più consistenti, subendo perdite importanti, ne inflisse, però, infinitamente di più. Si verificò il primo contatto con i carri russi T-34, considerato dagli esperti il miglior mezzo corazzato della seconda guerra mondiale.

Carro armato T-34 (modello 1941)
Carro armato T-34 (modello 1941)

Considerato il miglior carro armato della seconda guerra mondiale, anche se aveva numerosi difetti (trasmissione, torretta poco difesa, cingoli fragili), presentava grandissime innovazioni tecniche quali l’introduzione della corazza inclinata, i cingoli larghi e il cannone a canna medio-lunga (i Panzer IV tedeschi dell’epoca avevano un cannone corto da 75mm, adatto soprattutto per il supporto alla fanteria, piuttosto che alla lotta controcarro). L’inclinazione di 60 gradi (rispetto ad un asse verticale) della corazza frontale, che misurava 45 mm, si traduceva in una resistenza equivalente a circa 100mm di acciaio posto verticalmente, giacché l’inclinazione peggiorava l’angolo penetrativo di una granata sparata orizzontalmente, un vero e proprio uovo di Colombo che consentiva anche un risparmio di acciaio di circa il 50%. I cingoli larghi (distribuendo il peso su una superficie più vasta) consentivano al mezzo di attraversare i terreni più difficili, come le plaghe nevose invernali o gli infidi pantani primaverili, che caratterizzano le pianure russe durante il disgelo, conferendogli una maggiore mobilità su tutti i tipi di terreni. Il cannone da 76,2mm era nel 1942 l’arma anticarro di maggior calibro e riusciva a perforare facilmente le corazze delle controparti tedesche (Panzer III e Panzer IV). Inoltre, il T-34 fu uno dei carri più veloci di tutta la seconda guerra mondiale, in grado di raggiungere una velocità massima di ben 55 km/h, il che lo rendeva un bersaglio più difficile da colpire durante gli scontri e gli consentiva di reagire più rapidamente alle esigenze della battaglia. Quando l’Unione Sovietica fu attaccata nel 1941, il modello era già ben consolidato e la sua apparizione fu un brutto colpo per i tedeschi. La resa del fronte meridionale richiese molto più tempo. Il generale von Reichenau, un fervente ammiratore di Hitler ed entusiasta nazista, ordinò la fucilazione di tutti i prigionieri, non importa se in divisa o no. Anche l’Armata Rossa fucilava i prigionieri tedeschi, soprattutto i piloti della Luftwaffe abbattuti che si arrendevano. Non c’erano molte possibilità di portarli nelle retrovie e volevano evitare che fossero liberati. A L’vov (Leopoli) prima di lasciarla ai tedeschi, l’NKVD fucilò tutti i prigionieri politici. La convinzione di Hitler che l’Armata Rossa sottoposta ad un duro attacco si disintegrasse, era condivisa da molti osservatori stranieri e dai servizi d’informazione. Le epurazioni attuate da Stalin nel 1937 nell’Armata Rossa erano dovute a un miscuglio di paranoia, megalomania sadica e desiderio di vendetta per tutte quelle vecchie responsabilità che risalivano ancora alla guerra civile russa e a quella russo-polacca. Erano stati giustiziati, imprigionati o congedati 36.671 ufficiali, e dei 706 ufficiali il cui grado andava da comandante di brigata in su, solo 303 erano rimasti indenni. I motivi dell’arresto generalmente erano grottesche invenzioni. Il colonnello K.K. Rokossovskij [21], protagonista a Stalingrado, aveva dovuto difendersi da accuse riferite da un uomo che era morto quasi vent’anni prima. La vittima più illustre fu il generale (maresciallo dell’Unione Sovietica [22]) Michail Tuchačeviskji, il sostenitore più accanito della guerra di movimento. La sua esecuzione aveva segnato la fine di ogni innovazione in termini di pensiero militare ed operativo nell’Armata Rossa, la qual cosa costituiva una pericolosa intromissione nelle pretese strategiche di Stalin. Sotto il comando di Tuchačeviskji, gli ex ufficiali imperiali avevano sviluppato la sofisticata teoria della “tecnica operativa” basata sullo “studio del rapporto tra potenza di fuoco di massa e mobilità”. Nel 1941 questa teoria era considerata un’eresia, ciò spiegava perché pochi generali sovietici avessero ammassato i loro carri contro i tedeschi. Anche se successivamente molti ufficiali furono reintegrati, l’effetto psicologico era stato devastante. A due anni dalle epurazioni, l’Armata Rossa diede una prova penosa contro il minuscolo esercito finlandese. Solo i servizi d’informazione giapponese dissentivano dall’opinione negativa prevalente invitando a non sottovalutare l’Armata Rossa. Una serie di scontri lungo la frontiera con la Manciuria, aveva evidenziato l’abilità di un giovane comandante, il generale Georgij Žukov, che Stalin si era poi deciso a promuovere allo stato maggiore. Si trovava perciò al centro dell’attenzione quando il giorno dopo l’invasione, il dittatore aveva creato un comando supremo usando la stessa definizione zarista di STAVKA (Stavka Verchovnogo Glavnokomandovanija abbreviazione di Comandante in capo delle Forze Armate): il “Grande Leader” si era quindi autonominato commissario della Difesa e comandante supremo delle forze armate. Da quel momento i generali si rivolsero a lui con l’appellativo di Vechovnyj, ossia Supremo. Nei primi giorni di guerra, i generali tedeschi si erano meravigliati della tendenza dei loro colleghi sovietici a sprecare vite umane in quantità incredibili; avevano anche notato che essi erano pesantemente angariati dalle “esigenze politiche della classe dirigente” e soffrivano di un “basilare timore delle responsabilità”. Combinato con lo scarso coordinamento, le conseguenze erano che gli ordini, in particolare le contromisure, venivano emanati troppo tardi. I generali tedeschi sottovalutavano, però, in particolare riguardo alle truppe corazzate, il desiderio dell’Armata Rossa di apprendere dai propri errori. Il processo di riforma non era né facile né rapido. Stalin e i suoi burocrati, specialmente i commissari di grado elevato, rifiutavano di riconoscere che le loro interferenze politiche e la loro cecità ossessiva avessero provocato il disastro. I comandanti al fronte ricevevano ordini privi di logica dal Cremlino. A peggiorare il tutto, il sistema del “doppio comando” basato sull’approvazione degli ordini dei comandanti da parte dei commissari politici ripristinato a partire dal 16 luglio. I commissari politici dell’Armata Rossa cercavano di sfuggire alle proprie responsabilità accusando i comandanti di codardia, sabotaggio o tradimento. Il generale Pavlov, comandante del settore centrale del fronte, fu la vittima più illustre, pur avendo obbedito agli ordini (23). Si può immaginare l’atmosfera di paralisi che regnava nei centri decisionali. Un ufficiale del genio, arrivato ad un comando accompagnato dalle guardie di frontiera dell’NKVD che conoscevano bene la zona, fu accolto da espressioni di terrore. Un generale balbettò pateticamente: “Ero con le mie truppe e ho fatto quello che potevo… non sono colpevole di niente”. Solo allora l’ufficiale capì che, alla vista delle mostrine verdi della sua scorta, gli ufficiali di stato maggiore avevano pensato che fosse venuto ad arrestarli. L’arrivo di Žukov allo STAVKA stimolava lo giungere a delle conclusioni sulla base delle esperienze negative vissute. Veniva evidenziato la grande falla nelle comunicazione e la vulnerabilità di grandi formazioni inerti e vulnerabili agli attacchi aerei. L’introduzione di un sistema di piccole armate, formate al massimo da 5-6 divisioni migliorò grandemente la rapidità d’azione e di comunicazione. Il più grande errore commesso dai comandanti tedeschi consisteva nell’avere sottovalutato “Ivan” il soldato semplice dell’Armata Rossa. Scoprirono ben presto che militari circondati o in numero decisamente inferiore, continuavano a combattere, quando in condizioni simili, le loro controparti occidentali si sarebbero arrese. La difesa della cittadella di Brest-Litosvk è l’esempio più impressionante. La fanteria tedesca occupò il complesso dopo una settimana di violenti combattimenti, ma alcuni soldati dell’Armata Rossa resistettero per quasi un mese a partire dall’attacco iniziale senza essere mai riforniti di munizioni o viveri. Uno dei difensori scrisse sul muro: “Muoio, ma non mi arrendo, addio Madrepatria. 20/VII/41”. Quel pezzo di muro è ancora custodito con tutti gli onori in un museo. Quel che non si dice è che numerosi soldati sovietici feriti e catturati (24) riuscirono a sopravvivere ai campi di concentramento nazisti fino a quando non furono liberati nel 1945. Invece di essere considerati eroi, vennero mandati nei Gulag dallo SMERŠ, in seguito all’ordine di Stalin secondo il quale chiunque fosse caduto in mano nemica doveva considerarsi un traditore (Ordine n. 246). Queste misure rovinarono la vita a milioni di soldati innocenti e alle loro famiglie, compresa la sua, infatti Stalin applicò lo stesso provvedimento anche a suo figlio Jakov (25), catturato nei pressi di Vitebsk il 16 luglio. Passato il caos iniziale, la resistenza sovietica incominciò a diventare sempre più determinata. L’illusione di un crollo del nemico, la calda accoglienza avuta inizialmente dai civili ucraini, che avevano subito una delle più terribili carestie create dal regime con dieci milioni di morti, avevano ingannato i tedeschi. Quando i piani di Hitler di sottomissione e sfruttamento degli slavi furono palesi, anche chi disprezzava il regime stalinista fu costretto ad appoggiarlo. Stalin e l’apparato del partito comunista riconobbero rapidamente la necessità di abbandonare i cliché marxisti-leninisti. L’espressione “Grande Guerra Patriottica” era apparsa nei titoli del primo numero della Pravda uscita dopo l’invasione e lo stesso Stalin aveva ripreso subito questa evocazione voluta della “Guerra Patriottica” contro Napoleone. Più tardi, in occasione dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, aveva insistito nel rievocare eroi decisamente non proletari della storia russa: Aleksandr Nevskij, Suvorov e Kutuzov. Alla difesa della reputazione di Stalin contribuiva l’enorme ignoranza politica della stragrande maggioranza della popolazione. Pochi, al di fuori della nomenclatura, lo collegavano direttamente al rifiuto di riconoscere la minaccia nazista e alle disfatte di giugno. Nel suo discorso alla radio del 3 luglio, Stalin ovviamente non si era addossato nessuna colpa (26). Si era rivolto al popolo come “fratelli e sorelle”, aveva comunicato che la Madrepatria era in grave pericolo e i tedeschi erano penetrati in profondità nell’Unione Sovietica. Questa ammissione, di una sincerità senza precedenti, rafforzò la fiducia del Paese, anche se nello stesso tempo fu uno shock per molti, sicuri dell’invincibilità dell’apparato venuto fuori dalla Rivoluzione d’Ottobre. Qualunque cosa si possa pensare dello stalinismo, non ci sono dubbi che la sua base ideologica avesse fornito, tramite alternative manipolate, argomenti crudelmente efficaci per una guerra totale. Tutti dovettero ammettere che il fascismo era un male e il partito comunista doveva mettersi a capo della lotta per distruggerlo. Tuttavia le discussioni ideologiche erano di secondaria importanza per la maggior parte della popolazione. Il vero stimolo proveniva da un patriottismo viscerale. Quattro milioni di cittadini si presentarono volontari per essere arruolati nella milizia. Lo spreco di vite umane fu tale da sfuggire ad ogni comprensione. Questi soldati non addestrati, spesso senza armi e molti ancora in abiti civili, vennero mandati contro le formazioni corazzate tedesche. Quattro divisioni della milizia furono quasi completamente annientate prima ancora che iniziasse l’assedio di Leningrado. Le famiglie ignare dell’incompetenza e del caos che regnavano al fronte, dei saccheggi, delle ubriacature e delle esecuzioni dell’NKVD, piangevano i loro morti senza muovere critiche al regime. La rabbia era riservata al nemico. La maggior parte degli atti di eroismo di quell’estate non vennero mai alla luce, essendo scomparsi con la morte di chi vi aveva assistito. Alcuni racconti emersero più tardi, in parte perché tra i soldati si era fatto strada un forte senso d’ingiustizia al pensiero che gli atti eroici di molti coraggiosi non fossero riconosciuti. A Stalingrado, per esempio, fu trovata una lettera sul cadavere di un certo Malčev, un ufficiale medico, in cui esprimeva il bisogno di testimoniare del coraggio di un compagno durante la terribile ritirata. “Domani o dopodomani avrà luogo una grande battaglia”, aveva scritto, “e probabilmente sarò ucciso, e il mio sogno è che questo resoconto venga pubblicato in modo che il popolo venga a sapere degli atti di eroismo di Ljčkin.” A metà luglio l’Armata Rossa aveva perso 3.500 carri armati, più di 6.000 aerei e circa 2.000.000 di uomini, tra cui una parte significativa del corpo ufficiali. A Smolensk si verificò il secondo disastro con la perdita di oltre 300.000 soldati fatti prigionieri, 3.000 carri e altrettanti cannoni. Altre divisioni dovettero essere sacrificate per impedire alle truppe corazzate tedesche di prendere il nodo ferroviario di Jelnaja e Roslavl, chiudendo in tal modo un’altra sacca. A Sud le truppe del generale von Runstedt appoggiate da rumeni e ungheresi catturarono altri 100.000 soldati intrappolati nella sacca di Uman. La più grande concentrazione di soldati sovietici era attorno a Kiev, Žukov aveva avvertito Stalin che l’Armata Rossa doveva ritirarsi, ma Stalin rifiutò, avendo promesso a Churchill che l’Unione Sovietica mai avrebbe abbandonato Mosca, Leningrado e Kiev, anzi perse la pazienza e rimosse Žukov dal suo incarico. “Cosa mi dici di Kiev?”, chiese Stalin. Žukov propose di ritirarsi dalla città. “Che cosa sono queste sciocchezze?” urlò Stalin. “Se pensi che il capo di stato maggiore dica sciocchezze, allora ti chiedo di sollevarmi dall’incarico e di inviarmi al fronte” gridò Žukov di rimando. “Non scaldarti”, disse Stalin, “dal momento che sei stato tu a dirlo, andremo avanti senza di te”. Žukov chiese di partire, ma Stalin lo invitò per un tè: Žukov gli piaceva. E il disastro che si stava profilando intorno a Kiev ben presto avrebbe dimostrato la saggezza delle sue “sciocchezze”. Quando von Runstedt da sud piegò a nord dirigendosi verso Kiev e si unì alle truppe corazzate centrali del generale Guderian  (27), era evidente l’imminente accerchiamento, ma anche allora Stalin non accettò di ritirare le truppe, quando si decise era ormai tardi. Il 21 settembre la battaglia era finita, i tedeschi catturarono altri 665.000 prigionieri. Gli invasori erano presi da un misto di incredulità, disprezzo e anche timore osservando il nemico comunista che si era battuto fino all’ultimo. “Guardate bene questi morti, questi tartari morti, questi russi morti”, scrisse un giornalista al seguito dell’esercito tedesco in Ucraina osservando masse di cadaveri trasportati sui carretti. “Sono cadaveri nuovi, assolutamente nuovi di zecca. Appena consegnati dalla grande fabbrica del Pjatyletka, il piano quinquennale. Sono tutti uguali. Produzione di massa. Rappresentano una nuova razza, una razza coriacea, questi cadaveri di operai uccisi in un incidente industriale.” Eppure, per quanto l’immagine fosse convincente, era un errore pensare che quei cadaveri fossero semplicemente dei robot comunisti. Erano i resti di uomini e donne che, nella maggior parte dei casi, avevano risposto a un vivo e profondo senso di patriottismo. A metà luglio la Wehrmacht aveva perso il suo slancio iniziale, il calcio alla porta era stato dato, ma l’impalcatura non era crollata. L’Armata Rossa aveva perso più di 2.000.000 di uomini, ma le sue divisioni erano aumentate, 360 rispetto alle 200 iniziali. “La vastità della Russia ci divora”, scrisse il generale von Rundstedt alla moglie. Le perdite tedesche erano state maggiori del preventivato, più di 400.000 soldati a fine agosto, e il deterioramento dei veicoli, causa terriccio e polvere, preoccupante. Le comunicazioni dovute alle distanze cominciavano ad essere difficoltose, le ferrovie praticamente inutilizzate per lo scartamento diverso dei binari usati in Germania ed in Russia. Ogni scroscio di pioggia trasformava le strade in pantani in cui avevano difficoltà anche i cingolati. Più i tedeschi penetravano all’interno e più i rifornimenti diminuivano. Molti mezzi si dovettero fermare per mancanza di carburante. I fanti marciavano con più di venti chili di equipaggiamento per distanze dai 30 ai 60 km al giorno. Gli uomini erano talmente stanchi che spesso si addormentavano camminando. I generali cominciavano ad essere irritati dalle diversioni di Hitler, che rallentava la marcia verso Mosca con ordini di conquista di obbiettivi secondari (Ucraina e Leningrado) secondo il piano originario. Hitler li teneva sotto controllo alimentandone le rivalità e le divergenze di opinione. Il fatto che evitasse la strada di Mosca era in parte dovuto al desiderio superstizioso di non ripercorrere i passi di Napoleone. A Settembre, finalmente Hitler diede l’ordine per l’operazione Tifone (la conquista di Mosca), ma si verificarono nuovi ritardi di tipo logistico. Quando alcuni generali incominciarono a sollevare la questione dell’avvicinamento dell’autunno (periodo del fango) e della guerra invernale, egli proibì di parlare di quell’argomento. Questo visionario e stratega da salotto al comando dell’esercito meglio addestrato del mondo non aveva mai posseduto le qualità di un vero generale perché all’oscuro dei numerosi problemi pratici. Durante le precedenti campagne il problema dei rifornimenti era stato in qualche maniera risolto, tuttavia in Russia la logistica era un fattore decisivo quanto la potenza di fuoco. L’irresponsabilità di Hitler, una continua sfida al destino psicologicamente interessante da studiare, era stata quella di lanciare l’invasione più ambiziosa della storia pur rifiutandosi di preparare l’economia e l’industria tedesca a una guerra totale (28). A posteriori sembrerebbe il comportamento di un giocatore d’azzardo. Le conseguenze per milioni di persone sembravano intensificare la sua megalomania. Il generale von Bock, al comando di 1.500.000 uomini, aveva fissato come termine ultimo il 7 novembre per circondare Mosca. Il generale sovietico Erëmenko (29) era incaricato di organizzare il fronte a Brjansk, mentre altri due fronti (occidentale e di riserva) erano preparati per proteggere la capitale. Nonostante ciò i sovietici si fecero ancora una volta sorprendere all’alba del 30 settembre dalle truppe corazzate di Guderian. I tedeschi giunsero nella città di Orël, a 200 km da Mosca, salutati dalla popolazione che li scambiò per russi. Erëmenko ferito, dovette essere evacuato in aereo. Al Cremlino i leader rifiutavano di riconoscere la gravità della situazione. Un pilota da caccia riferì d’aver avvistato una fila di circa venti chilometri di carri armati nemici a 160 km da Mosca. Quando un secondo pilota confermò il rapporto, lo STAVKA rifiutò ancora di crederci. Fu mandato un terzo pilota che confermò l’avvistamento. Questo non impedì a Berija di manifestare l’intenzione di arrestare ed interrogare il loro comandante in quanto “reo di diffondere il panico”. Stalin chiese a Žukov di organizzare le difese. Furono mobilitate tra uomini e donne 350.000 persone, più della metà civili, che scavarono trincee anticarro. Il 6 ottobre, la Wehrmacht aveva catturato altri 665.000 soldati e distrutto 1.242 carri armati. Il grado di disperazione dell’Armata Rossa si vide anche dall’uso di “strane nuove armi”. I carristi tedeschi si videro venire incontro dei cani con dei fagotti sulle schiene da cui sporgeva un bastoncino. All’inizio pensarono a cani da soccorso, ma poi scoprirono che essi trasportavano delle mine anticarro ed esplosivi. A questi cani “mine”, addestrati secondo il principio del riflesso condizionato di Pavlov, era stato insegnato a correre sotto i carri armati per ottenere il loro cibo. Il bastoncino sbattendo sul fondo del carro, agiva da detonatore. La maggior parte d’essi venivano abbattuti a fucilate prima che raggiungessero il bersaglio, ma questa macabra tattica rendeva nervosi i carristi tedeschi. Ma furono le condizioni atmosferiche a creare i maggiori disagi; le piogge iniziarono a metà ottobre rallentando il movimento di truppe e mezzi, ma era l’arrivo del gelo che la Wehrmacht temeva di più, quindi ogni giorno era prezioso. La progressione dell’attacco gettò nel panico i dirigenti sovietici. Il 15 ottobre fu comunicato alle ambasciate straniere di prepararsi all’evacuazione. L’NKVD si portò via molti dei suoi prigionieri, tra questi molti ufficiali superiori, che nonostante il disperato bisogno di comandanti al fronte, venivano continuamente picchiati a sangue perché confessassero chissà quali crimini. Stalin e Berija ampliarono la portata sia della repressione sia della redenzione. A sostegno dello sforzo bellico furono liberati dei “fortunati”. C’era sempre un certo imbarazzo quando alcuni di questi incontravano i loro torturatori. Il generale Meretskov era stato arrestato nelle prime settimane di guerra ed era stato sottoposto ad atroci torture dal malvagio Merkulov (30) (un alto dirigente dell’NKVD), con cui si trovava in rapporti di amicizia prima dell’arresto. Come testimoniò in seguito uno degli inquisitori: “Alcuni ufficiali di alto grado sottoposero Meretskov a continue torture brutali […] venne percosso con verghe di gomma. Finché non fu coperto di sangue”. Dopo averlo ripulito lo portarono da Merkulov a cui disse che non avrebbero più potuto essere amici. Merkulov gli sorrise. Alcuni minuti più tardi, in alta uniforme, si presentò a rapporto da Stalin per il suo incarico successivo: “Salve, compagno Meretskov. Come stai?”. Berija incrementò il regime del Terrore. Mentre l’NKVD si ritirava, non tutti i prigionieri furono rilasciati, anche se Stalin aveva il potere di far sì che ciò accadesse. Tra le centinaia di prigionieri fucilati alla Lubjanka (31) o altrove, ci furono anche 157 “celebrità” tra cui: Aleksandr “Aleša” Svanidze (32), fratello della prima moglie di Stalin e Olga Kameneva, moglie di Kamenev (33) e sorella di Trockij (34). Si crede erroneamente che l’unica volta in cui Stalin abbia cessato la guerra contro il suo stesso popolo fosse negli anni 1941 e 1942, mentre in realtà all’epoca vennero condannati 994.000 membri delle forze armate, di cui 157.000 furono fucilati: l’equivalente di oltre quindici divisioni. Stalin pensava anche che Leningrado sarebbe caduta, ma la sua unica preoccupazione era come fare uscire le truppe per portarle a difendere Mosca. Il suo disinteresse totale per la popolazione faceva da contraltare a quello di Hitler. L’unico sviluppo incoraggiante di quei momenti erano i primi arrivi dei reggimenti di truppe siberiane schierate in Manciuria. Richard Sorge, la spia sovietica a Tokio, aveva scoperto che i giapponesi intendevano attaccare gli americani a sud, nel Pacifico, e non la Russia orientale. Stalin non si fidava completamente di Sorge, ma l’informazione era confermata anche da intercettazioni radio. In tal caso poteva utilizzare le truppe fresche siberiane sul fronte occidentale. Radio Mosca annunciò la volontà di Stalin di non muoversi dalla capitale, la decisione, poi, di tenere ugualmente la parata militare per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nella Piazza Rossa si rivelò indovinata, cambiando l’atmosfera da panico di massa a senso di sfida. Stalin con il suo straordinario istinto capì subito l’importanza simbolica della parata e ordinò un concentramento di contraerea attorno alla piazza per prevenire gli eventuali attacchi della Luftwaffe. Comprendeva il valore che ogni metro di pellicola di cinegiornale avrebbe avuto una volta distribuita in tutto il mondo. Conosceva anche la risposta giusta ai discorsi di Hitler. “Se vogliono una guerra di sterminio”, dichiarò il giorno precedente la parata, “l’avranno, eccome”. Ora, a novembre, i tedeschi erano ostacolati dal cattivo tempo, la visibilità scarsa intralciava l’uso dell’aviazione, i rifornimenti arrivavano col contagocce. I combattimenti non ebbero un attimo di tregua, i reggimenti contrapposti si decimarono vicendevolmente, i tedeschi ormai vedevano con i binocoli le guglie del Cremlino, ma non riuscivano a passare. La resistenza russa era così forte che i tedeschi prima rallentarono e poi si fermarono del tutto. A fine novembre , in un ultimo disperato tentativo, il generale von Kluge inviò numerose truppe lungo la strada principale per Mosca, riuscendo a sfondare, ma il freddo tormentoso e la resistenza suicida dei reggimenti sovietici assorbirono l’attacco. Di loro iniziativa Guderian e von Kluge incominciarono a ritirare le truppe più esposte, convinti che anche il nemico sarebbe stato costretto ad una battuta d’arresto. Non potevano immaginare che i sovietici stavano ammassando truppe fresche dietro Mosca. L’inverno arrivò con tutto il suo rigore: neve, venti gelidi e temperature a venti gradi sotto zero. I motori dei carri tedeschi erano congelati. Per poter scavare dei ripari i fanti dovevano accendere fuochi sul terreno per scongelarlo. Nelle retrovie gli ufficiali dello stato maggiore occuparono le case dei contadini cacciando i civili nella neve. La conseguenza della decisione di Hitler di non prendere in considerazione una campagna invernale era che i suoi soldati soffrivano terribilmente. Senza guanti, con gli stivali di cuoio da marcia che acceleravano il processo di congelamento, erano costretti a derubare gli abiti e gli stivali dei prigionieri e civili russi. L’Operazione Tifone aveva inflitto pesanti perdite all’Armata Rossa, ma alla meno numerosa Wehrmacht era costata perdite irreparabili in termini di soldati e ufficiali ben addestrati. All’inizio di dicembre, von Bock ammise che non c’erano più speranze di successi strategici. I casi di congelamento, più di 100.000, stavano superando il numero dei feriti. Nel frattempo si stavano concentrando alle spalle di Mosca una forza di divisioni siberiane con molti battaglioni di sciatori attrezzati con giacconi imbottiti, tute mimetiche bianche, berretti di pelliccia con paraorecchi e stivali di feltro (valenki). Avevano anche oli speciali per le parti mobili delle loro armi che ne impediva il congelamento. Oltre a ciò, erano schierati 1.700 carri T-34 con cingoli più larghi per adattarsi alla neve e al ghiaccio molto meglio dei panzer tedeschi. Nuovi aerei provenienti dall’Estremo Oriente erano pure pronti ad intervenire. Il 5 dicembre preannunciato da salve di razzi Katjuša montati su autocarri e battezzati dai soldati tedeschi “organi di Stalin” cominciò un terrificante contrattacco. I tedeschi furono attaccati ai fianchi ed al centro del loro schieramento in contemporanea, le loro linee di comunicazione vennero seriamente minacciate. Per la prima volta l’aviazione sovietica aveva la superiorità aerea. Dalle loro basi dietro Mosca gli avieri potevano proteggere meglio i loro aerei dal freddo. I tedeschi invece erano costretti ad accendere fuochi sotto i motori per scongelarli.

Lanciarazzi Katjuša
Lanciarazzi Katjuša

Il sistema d’arma era composto di una motrice con una struttura di sostegno per il lancio di un numero variabile tra i 16 e i 48 razzi, che partivano in salve consecutive. Il loro formidabile potenziale di fuoco era, però, compensato da una strumentale imprecisione di tiro dovuta alla difficoltà di correzione una volta che fosse partita la prima salva. Dalle retrovie incominciarono gli attacchi di formazioni partigiane addestrate da ufficiali dell’NKVD inviati dietro le linee. I battaglioni di sciatori, addestrati alla guerra invernale, apparivano all’improvviso dalla nebbia preceduti solo dal leggero sibilo dei loro sci sulla crosta di neve. Reparti di cavalleria montati sui resistenti pony cosacchi attaccavano dalle retrovie le postazioni viveri e d’artiglieria. Quando i tedeschi si accorsero che stavano per essere circondati, non ebbero altra scelta che ritirarsi fino a 160 km da Mosca. La città era salva. I soldati russi sapevano che la loro ritirata sarebbe stata atroce essendo così poco attrezzati per l’inverno e dovendo camminare in mezzo a tempeste di neve e distese di ghiaccio. Intanto, altrove, i giapponesi il 7 dicembre avevano attaccato Pearl Harbor e Hitler l’11 aveva annunciato d’avere dichiarato guerra agli Stati Uniti. Vista la ritirata rovinosa dei tedeschi con l’abbandono di armi e migliaia di caduti, uno Stalin esultante si convinse che la Wehrmacht fosse sull’orlo della disfatta completa e non tenendo conto della logistica, del tempo e della stanchezza delle truppe, chiese un’offensiva generale, cadendo nello stesso errore di Hitler, cioè quello di credere nella forza di volontà. Žukov e gli altri cercarono di avvertirlo dei pericoli di simili mosse, ma non vennero ascoltati. La ritirata tedesca in effetti non era mai stata una vera rotta, Hitler preoccupato che si ripetesse la storia di Napoleone del 1812, ordinò di mantenere le posizioni a tutti i costi. Per alcuni storici questa decisione salvò la Wehrmacht, per altri costò inutilmente tremende perdite di soldati che il Reich non poteva permettersi. Tuttavia Hitler era convinto che la sua forza di volontà di fronte a generali disfattisti avesse salvato l’intero Ostfront. Questa stessa forza di volontà avrebbe avuto disastrose conseguenze a Stalingrado l’anno successivo, quando la sua ostinazione si tramutò in pura perversione. Stalin aveva sottovalutato la capacità della Wehrmacht di riprendersi dopo una parziale sconfitta. I tedeschi si battevano con accanimento, ben consapevoli delle conseguenze se i sovietici li avessero attaccati allo scoperto. L’offensiva, causa l’allungamento delle linee di comunicazione e appoggio insufficiente, si trasformò in una serie di scaramucce. Nella sacca di Demjansk, 100.000 tedeschi accerchiati furono riforniti da trimotori Junkers 52 da trasporto dipinti di bianco per mimetizzarli. 100 missioni al giorno, un totale di 60.000 tonnellate di rifornimenti e l’evacuazione di 35.000 feriti permisero ai difensori di resistere 72 giorni alle armate sovietiche. Quando alla fine di aprile le truppe tedesche vennero liberate, gli uomini erano mezzi morti di fame, ma le condizioni dei civili russi rimasti intrappolati nella sacca erano ancora peggiori. Si erano nutriti delle interiora dei cavalli uccisi per alimentare i soldati. Proprio questa operazione rafforzò la convinzione in Hitler secondo la quale le truppe circondate dovevano automaticamente resistere. Faceva parte di quelle ossessioni che contribuirono in gran parte al disastro di Stalingrado. Le truppe all’aperto e le temperature a volte anche a -40 gradi dovevano porre fine alla pretesa superstiziosa di Hitler di non ordinare indumenti invernali. Il ministro della propaganda Göbbels35 lanciò una campagna nazionale di raccolta di indumenti invernali per le truppe al fronte russo. Signore consegnarono le loro pellicce e sportivi i loro sci. Quando questi indumenti arrivarono al fronte furono accolti con un misto di incredulità, scettico divertimento e stupore. I capi d’abbigliamento, spesso ancora odorosi di naftalina, facevano uno strano effetto sugli uomini afflitti da pidocchi. “Non era difficile immaginare il salotto con divano”, scrisse un tenente, “o il letto del bambino o forse anche la stanza della giovane da cui provenivano. Poteva essere benissimo un altro pianeta.” La nostalgia della patria non era solo un modo di sfuggire da un mondo di pidocchi e sporcizia, ma anche da un ambiente di brutalità sempre più sfrenata in cui la morale convenzionale era stata completamente distorta. Le truppe tedesche formate da padri e figli indubbiamente amorevoli in patria, in Russia indulgevano in una sorta di macabro turismo, al punto che i comandi avevano dovuto emanare un’ordinanza che vietava di fotografare le esecuzioni di disertori tedeschi, molto in aumento col declino del morale. Esecuzioni in Ucraina di partigiani ed ebrei sembravano attirare un pubblico ancora più vasto di militari. Un ufficiale tedesco non aveva nascosto il suo disgusto quando i civili russi avevano allegramente tolto gli indumenti ai cadaveri dei loro concittadini. Eppure, anche i soldati tedeschi toglievano le scarpe e gli abiti ai civili ancora vivi, costringendoli poi a spingersi in distese gelide per morire quasi sempre di fame o congelati. Una pallottola sarebbe stata sicuramente più generosa. Durante la ritirata i soldati si erano impadroniti di tutto il bestiame e le derrate alimentari su cui riuscivano a mettere le mani. Spaccavano i pavimenti alla ricerca di patate nascoste, il mobilio e le pareti in legno delle case per accendere i fuochi. Mai una popolazione aveva dovuto soffrire così tanto a causa di entrambi i belligeranti. Stalin aveva firmato un ordine in cui imponeva all’Armata Rossa, aviazione, artiglieria, partigiani, di distruggere tutte le case e le fattorie fino a 60 km dietro le linee nemiche perché i tedeschi non trovassero riparo. Non aveva preso in considerazione neppure per un momento il destino di tante donne, vecchi e bambini russi. I casi di suicidio da stress tra i soldati tedeschi aumentò in maniera evidente. Molti si sparavano quando montavano la guardia da soli. Gli uomini passavano le notti a pensare a casa propria ed a una licenza. I samizdat (36) scoperti da soldati russi su cadaveri di soldati tedeschi, dimostravano che tra loro oltre ai cinici c’erano anche dei teneri. “Natale”, recitava un finto ordine, “quest’anno non avrà luogo per i seguenti motivi: Giuseppe è stato chiamato sotto le armi; Maria si è arruolata nella Croce Rossa; il Bambino Gesù è stato mandato con gli altri bambini in campagna per evitare i bombardamenti; i Re Magi non riescono ad ottenere i visti perché non possono presentare la prova di essere ariani; non ci sarà la stella cometa a causa dell’oscuramento; i pastori sono stati mandati a fare la guardia e gli angeli sono diventati centralinisti. E’ rimasto solo l’asinello; non si può fare Natale solo con un asinello” (37). Le autorità militari erano preoccupate che i soldati in licenza demoralizzassero la popolazione con i racconti dell’orrenda realtà dell’Ostfront ed emanarono un ordine apposito sulle conseguenze di rivelare qualsiasi tipo di informazione della guerra a est. Un soldato o più probabilmente un gruppo di soldati, aveva fornito una versione delle istruzioni intitolata: “Note per chi va in licenza”. Il tentativo di divertire è assai rivelatore dell’effetto brutalizzante dell’Ostfront. “Bisogna che ti ricordi che stai entrando in un paese nazionalsocialista le cui condizioni di vita sono molto diverse da quelle alle quali sei abituato. Devi essere pieno di tatto con gli abitanti, adattandoti alle loro usanze e astenendoti dalle abitudini che ormai ami così tanto. Cibo: non sollevare il parquet o altri tipi di pavimento, perché le patate le tengono in posti diversi. Coprifuoco: se dimentichi le chiavi, cerca di aprire la porta con l’oggetto di forma rotonda. Solo in casi di estrema urgenza ricorri alla bomba a mano. Difesa dagli animali: cani con mine attaccate sono una caratteristica dell’Unione Sovietica. Sparare ad ogni cane che vedi, benché raccomandato in Unione Sovietica, può creare una cattiva impressione. Rapporti con la popolazione civile: in Germania solo perché qualcuno indossa abiti da donna non vuol dire necessariamente che sia una partigiana. Ma a parte questo sono pericolose per chiunque vada in licenza dal fronte. In generale: quando torni in licenza in patria, assicurati di non parlare dell’esistenza paradisiaca nell’Unione Sovietica nel caso tutti vogliano venire qui a rovinarci le nostre idilliache comodità”. Era emerso un certo cinismo anche riguardo alle onorificenze. Quando l’anno successivo fu decisa una medaglia per la campagna d’inverno, divenne rapidamente nota come l’ “Ordine della Carne Congelata”. Ma si verificarono casi ben più seri di disaffezione. Il feldmaresciallo von Reichenau, comandante della 6a armata, ebbe un accesso di rabbia poco prima di Natale, scoprendo sull’edificio assegnatogli come comando, scritte di questo tenore: “Ne abbiamo abbastanza”, “Vogliamo tornare in Germania”, “Siamo sporchi, abbiamo i pidocchi e vogliamo tornare a casa”, “Non l’abbiamo voluta noi questa guerra”. Mentre un gruppo di ufficiali cominciava a progettare l’assassinio di Hitler, almeno una cellula comunista era all’opera tra i soldati. Intanto Hitler rimuoveva i comandanti che nel 1941 avevano disapprovato la sua politica di tener duro. Costrinse il generale von Brauchitsch, il comandante in capo dell’esercito, alle dimissioni e assunse per sé la carica di comandante in capo, sostenendo che nessun generale possedeva la necessaria forza di volontà nazionalsocialista. L’esercito tedesco stabilì una solida linea di difesa a est di Smolensk, ma la sua distruzione finale era diventata una pratica sicura. Con il senno di poi, possiamo constatare che l’equilibrio del potere geopolitico, industriale, economico e demografico, era decisamente a sfavore dell’Asse già nel dicembre 1941, con la Wehrmacht che non era riuscita a impadronirsi di Mosca e l’entrata in guerra degli americani. Ma la svolta psicologica ci sarebbe stata solo l’inverno successivo con la battaglia di Stalingrado, che in parte a causa del suo nome, divenne un duello personale tra i due dittatori, combattuta, però, dai rispettivi soldati.


20 Erich von Manstein, nato Erich von Lewinskij (Berlino, 24 novembre 1887 – Monaco di Baviera, 9 giugno 1973), è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco. Viene ritenuto uno dei più abili strateghi della seconda guerra mondiale. La sua conduzione della Terza battaglia di Kharkov (19 febbraio – 23 marzo 1943), che rimane uno dei più brillanti fatti d’arme della seconda guerra mondiale, è un vero modello di vittoria ottenuta con l’audace impiego delle forze corazzate contro un nemico potente all’offensiva. Si caratterizzò, secondo alcuni osservatori, per un impiego quasi napoleonico dei reparti corazzati (con il continuo movimento dei Panzerkorps in modo da ottenere sempre la superiorità numerica e di posizione sulle varie colonne nemiche) e gli permise di ottenere una sorprendente vittoria da una situazione apparentemente compromessa. Non riuscì a salvare la 6a armata del generale Paulus a Stalingrado; la situazione era probabilmente già pregiudicata al suo arrivo e Hitler non favorì il compito del feldmaresciallo lesinando rinforzi e intralciando la sua libertà d’azione, ma certamente von Manstein fece alcuni fondamentali errori di valutazione della situazione e sottovalutò le forze e le capacità operative dell’Armata Rossa.

21 Nel 1940 a causa delle umiliazioni per incompetenza di comando che l’Armata Rossa stava subendo nella guerra con la piccola Finlandia, Stalin fece liberare 11.178 ufficiali che erano stati colpiti dall’epurazione e che, formalmente, ritornavano “da una lunga e pericolosa missione”. Chiese a Rokossovskij, forse notando che non aveva più unghie: “In prigione ti hanno torturato?”. “Sì compagno Stalin”. “Ci sono troppe persone servili in questo paese”, sospirò Stalin.

22 Maresciallo dell’Unione Sovietica era de facto il grado militare più elevato in Unione Sovietica (il grado più elevato de jure era quello di Generalissimo dell’Unione Sovietica, creato ed ottenuto unicamente da Stalin).

23 Pavlov e il suo vice furono accusati e condannati per “non avere assolto il proprio dovere” più che di tradimento. Il 22 luglio del 1941, lo stesso giorno della sentenza, gli furono confiscate tutte le proprietà, degradato, fucilato e seppellito in una discarica vicino Mosca da uomini dell’NKVD. Sentenze di morte furono anche eseguite contro altri comandanti del fronte occidentale, incluso il capo di stato maggiore, generale B.E. Klimovskikh, il capo delle comunicazioni, generale A. T. Grigoriev, il capo dell’artiglieria, generale A. Klich e il vice capo dell’aviazione del fronte occidentale (il quale dopo il suicidio del suo superiore, il generale I.I. Kopec, divenne nominalmente il capo dell’aviazione del Fronte Occidentale) maggiore generale A. I. Tayursky. Anche il comandante del 14° Corpi Meccanizzati, maggiore generale C. I. Oborin, fu arrestato l’8 luglio e fucilato. Il comandante della 4a Armata, maggiore generale A. A. Korobkov, fu destituito l’8 luglio, arrestato il giorno dopo e fucilato il 22 luglio. Pavlov e gli altri comandanti del Fronte Occidentale furono assolti per “mancanza di prove a loro carico” e riabilitati nel 1956.

24 Nel complesso più di 3.000.000 di soldati dell’Armata Rossa morirono nei campi tedeschi di malattie, freddo, fame e maltrattamenti.

25 Jakov Josifovič Džugašvili (18 marzo 1907 – Sachsenhausen, 14 aprile 1943) durante la seconda guerra mondiale combatté nell’Armata Rossa con il grado di tenente d’artiglieria. Stalin, imbarazzato dall’avere un figlio prigioniero dei tedeschi e quindi possibile traditore e collaborazionista con il nemico, fece incarcerare sua moglie e i suoi figli per due anni. I tedeschi pensarono di scambiare l’illustre prigioniero con il feldmaresciallo Friedrich Paulus, caduto in mano sovietica dopo la battaglia di Stalingrado, ma la proposta non fu accettata. Morì nel campo di concentramento di Sachsenhausen nel 1943 in circostanze mai chiarite.

26 Stalin non presentò mai le proprie scuse per le sue negligenze, ma riconobbe indirettamente i propri errori quando, in seguito, ringraziò il popolo russo per “la pazienza” che aveva dimostrato. Come al solito, però, diede ad altri la colpa della maggior parte dei suoi sbagli, affermando che si era “fidato troppo degli ufficiali della cavalleria”. Žukov confessò le proprie mancanze: “Forse non ho avuto abbastanza influenza”. Non fu, però questa la vera ragione della sua quiescenza. Se avesse richiesto la mobilitazione, Stalin gli avrebbe domandato: “Su quali basi? Berija accompagnalo nelle tue celle”.

27 Heinz Wilhelm Guderian (Kulm, 17 giugno 1888 – Schwangau, 14 maggio 1954) è stato un generale tedesco. Tra i più abili generali della seconda guerra mondiale, è considerato il padre e l’ufficiale più importante delle truppe corazzate tedesche, che contribuì a organizzare durante gli anni trenta e guidò poi sul campo con grande efficacia nel periodo iniziale della guerra, conseguendo una serie di clamorosi successi. Il 28 marzo 1945, dopo un ultimo violento alterco con Hitler, venne destituito e inviato in licenza (ufficialmente) per motivi di salute.

28 I gerarchi nazisti esitavano a comprimere ulteriormente la produzione di beni di consumo a favore della produzione di armi, temendo la diffusione del malcontento tra i lavoratori fino a determinare il crollo del fronte interno (come era accaduto negli ultimi mesi della prima guerra mondiale). Solo dal 1943, dopo le prime gravi sconfitte, l’economia tedesca divenne di guerra.

29 Andrej Ivanovič Erëmenko (Markivka, 14 ottobre 1892 – Mosca, 19 novembre 1970) è stato un generale e maresciallo dell’Unione Sovietica, Eroe dell’Unione Sovietica. Ebbe un ruolo decisivo soprattutto durante la battaglia di Stalingrado di cui diresse la prima fase difensiva per poi prendere parte alla seconda fase offensiva (operazione Urano), contribuendo all’accerchiamento delle forze tedesche. In seguito continuò a operare su vari fronti sovietici.

30 Fucilato nel 1953 alla caduta di Berija.

31 Palazzo sede dei servizi segreti sovietici.

32 Facente parte della stretta cerchia familiare di Stalin e bolscevico della prima ora. Nel clima scatenato dalle Grandi Purghe del regime, divenne sospetto perché lavorava nell’ambiente considerato cosmopolita della Banca di Stato. Arrestato nel 1937 e accusato insieme alla sorella Mariko e alla moglie Marija di essere “spie tedesche”. Fu fucilato il 20 agosto del 1941. Tramite Markulov, Stalin gli promise la grazia se avesse chiesto perdono al Comitato centrale, ma sputando in faccia al suo boia si rifiutò. La moglie e la sorella furono fucilate insieme l’anno dopo.

33 Lev Borisovič Kamenev (Mosca, 6 luglio 1883 – Mosca, 25 agosto 1936) tra i più importanti dirigenti dell’URSS, dopo la morte di Lenin, con Grigorij Zinov’ev e Lev Trockij si oppose a Stalin. Arrestato durante le Grandi Purghe nel 1936, processato e condannato a morte insieme a Zinov’ev. Furono fucilati lo stesso anno. Riabilitati nel 1988 da Gorbačëv.

34 Lev Trockij (Janovka, 7 novembre 1879 – Coyoacán, 21 agosto 1940) fondatore e comandante dell’Armata Rossa, fu tra i dirigenti bolscevichi più vicini a Lenin. Dopo la morte di Lenin, entrato in contrasto con Stalin, fu espulso dal partito e deportato. In esilio dal 1929, fu assassinato il 20 agosto 1940 a Città del Messico da un agente spagnolo dell’NKVD con un colpo di piccozza alla testa.

35 Joseph Paul Göbbels (Rheydt, 29 ottobre 1897 – Berlino, 1o maggio 1945) fu uno dei più importanti gerarchi nazisti, Gauleiter di Berlino dal 1926 al 1945, ministro della propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945, ministro plenipotenziario per la mobilizzazione alla guerra totale e generale della Wehrmacht con l’incarico della difesa di Berlino dall’aprile del 1945, e, dopo il suicidio di Hitler (30 aprile 1945), per quasi due giorni Cancelliere del Reich. Le sue tecniche di propaganda furono uno dei fattori che consentirono al NSDAP l’ascesa al potere in Germania nel 1933. Essendo laureato in filosofia e letteratura, e comunque una delle persone più colte tra i nazionalsocialisti del Terzo Reich, furono in molti (tra cui lo stesso Führer, Adolf Hitler) a chiamare il Ministro Herr Doktor (Signor Dottore). Le ultime ore e le circostanze della morte di Göbbels, di sua moglie e dei loro sei figli restano non completamente chiarite. La sera del 1° maggio, alle ore 20, la signora Göbbels insieme a un medico delle SS, Helmut Kunz, narcotizzò i suoi figli con della morfina. Una volta addormentati, Magda Göbbels (forse con l’aiuto del dottor Ludwig Stumpfegger), li uccise rompendo dentro la loro bocca una capsula di cianuro. Poi Göbbels sparò alla moglie, rivolgendo quindi l’arma verso di sé. Secondo una diversa ricostruzione, invece, egli e la moglie, date disposizioni per la cremazione dei loro corpi, si sarebbero fatti uccidere con due colpi alla nuca esplosi da un attendente. Di fatto, quando i loro corpi vennero ritrovati dai sovietici, erano carbonizzati a tal punto da non consentire analisi.

36 Scritti clandestini, generalmente. ciclostilati, di testi politici, letterari e religiosi scritti da dissidenti e vietati dalla censura.

37 “Non capisco”, aveva scritto in fondo alla traduzione un ufficiale dei servizi d’informazione russi. “Da dove viene questa roba?”


Verso Stalingrado

Il Führer era profondamente irritato e deluso dagli eventi del novembre 1941, non solo Mosca non era stata presa, ma il generale von Kleist (38) capo delle divisioni del 1° Panzergruppe del Gruppo di Armate Sud che aveva raggiunto il Don presso Rostov, aveva stavolta subito la pronta reazione sovietica che, in particolare, mettendo in difficoltà il fianco sinistro dello schieramento nemico protetto da deboli truppe ungheresi, aveva costretto von Kleist a indietreggiare. Hitler era furioso, si era illuso che sia Mosca che i giacimenti petroliferi del Caucaso fossero a portata di mano. In più c’erano le prime ritirate dell’esercito tedesco dall’inizio della guerra. Egli non credeva che il feldmaresciallo von Runstedt mancasse di uomini e mezzi e rifiutava di accettare il fatto che von Kleist si fosse permesso di ritirare le sue truppe, gravemente decimate da casi di congelamento, fino alla linea del fiume Mius. Il 30 novembre von Runstedt gli disse che se non si fidava di lui, avrebbe preferito essere sollevato dall’incarico. Hitler lo accontentò subito. Incaricò il generale von Reichenau comandante della 6a armata di sostituirlo e bloccare immediatamente la ritirata, il quale tentò o meglio fece finta di farlo, comunicando in un lasso di tempo straordinariamente breve, che oramai l’arretramento dietro il fiume Mius era diventato inevitabile. Von Reichenau sostenne, a ragion veduta, di non potere gestire due alti comandi e suggerì ad Hitler di porre a capo della 6a armata (in tedesco 6. Armee) il suo ex capo di stato maggiore, il generale Paulus. Perciò il Capodanno del 1942, Paulus, che non aveva mai comandato nemmeno una divisione o un corpo d’armata, si ritrovò proiettato nei quartieri alti delle gerarchie militari al comando di 21 divisioni, circa 270.000 uomini, 3.000 cannoni e 500 carri armati. Il generale Paulus non aveva assunto il comando in un momento favorevole, infatti coincideva con l’offensiva voluta da Stalin nel gennaio 1942, in più era rimasto abbastanza scosso dall’improvvisa scomparsa per infarto del miocardio del suo mentore, il generale von Reichenau. Tutto il fronte germanico era in difficoltà: il generale von Manstein comandante dell’11a armata non era riuscito a conquistare Sebastopoli alla fine di dicembre 1941 ed anzi i sovietici con un attacco a sorpresa avevano preso la penisola di Kerč. Hitler, paonazzo di rabbia, aveva mandato davanti alla corte marziale il comandante del corpo d’armata, generale von Sponek (39). Comunque l’offensiva dell’Armata Rossa prematura per mancanza di truppe fresche e risorse si esaurì in due mesi. La 6a Armata aveva retto, ma Paulus non era a suo agio. Il feldmaresciallo von Bock, comandante del Gruppo d’Armate Sud si era lamentato dell’eccessiva cautela di Paulus nel contrattacco. Grazie al generale Halder (40), Paulus mantenne il comando. Rimossero invece il suo capo di stato maggiore, mettendo al suo posto il generale Arthur Schmidt (41). Paulus si fidava molto della sua capacità di valutazione, e come risultato, Schmidt ebbe un grande ruolo, eccessivo per alcuni, nel determinare il corso degli eventi che si sarebbero verificati più tardi quell’anno. Nei primi giorni della primavera 1942 le divisioni che sarebbero state decimate a Stalingrado avevano come unica preoccupazione quella dei rifornimenti e dei rinforzi. Il fatto che le preoccupazioni dell’inverno fossero finite con l’arrivo della primavera e dei nuovi equipaggiamenti, la dice lunga sulla capacità di recupero e sulla professionalità dell’esercito tedesco. Il morale era tornato alto, non c’era neppure turbamento che il nuovo Panzer Mark III avesse solo un pezzo da 50mm i cui proiettili non riuscivano a penetrare le corazze dei carri sovietici.

Panzer III
Panzer III

Il 28 marzo, il generale Halder presentò ad Hitler i piani per la conquista del Caucaso e della Russia meridionale fino al Volga. Non sospettava che allo STAVKA si stavano studiando i piani del generale Timočenko (42) per un’altra offensiva nella zona di Charkov. Il 5 aprile il Führer emanò gli ordini per la campagna che avrebbe portato alla vittoria finale all’est, ancora convinto della superiorità qualitativa sui sovietici, non vedeva necessità di mandare riserve. Mentre il gruppo di armate Nord con l’operazione Luce Settentrionale avrebbe portato a compimento l’assedio di Leningrado per poi collegarsi con i finlandesi, il gruppo d’armate Sud con l’offensiva principale, operazione Sigfrido, ribattezzata operazione Blu, si sarebbe presa la Russia meridionale. Il feldmaresciallo von Bock non aveva queste incrollabili convinzioni e dubitava di avere truppe sufficienti per conquistare il Caucaso e tanto meno tenerlo. Inoltre era convinto che i sovietici non fossero affatto a corto di riserve come invece pensava Berlino. “La mia grande preoccupazione, che i russi possano precederci con il loro attacco, non è affatto diminuita”, scrisse nel suo diario l’8 maggio. Lo stesso giorno salutò l’arrivo del generale Walter von Seydlitz Kurzbach (43) che aveva spezzato l’accerchiamento di Demjansk, ed era stato assegnato al comando del LI corpo d’armata. Il 12 maggio, sei giorni prima dell’attacco tedesco, i timori di von Bock di un attacco sovietico si concretizzarono anche prima di quanto avesse pensato. Timočenko aveva riunito 640.000 uomini, 1.200 carri armati e quasi 1.000 aerei. L’Armata Rossa lanciò due attacchi dai dintorni di Volčansk e dal saliente di Barnenkovo per tagliare fuori Charkov, in serata le armate russe erano già a soli una ventina di chilometri da Charkov. La 6a Armata fu sottoposta per 72 ore ad attacchi da tutte le direzioni perdendo 16 battaglioni. Paulus era convinto che un’azione di contenimento, cedendo se necessario terreno, fosse la cosa migliore, ma von Bock aveva altre idee. Persuase Halder di convincere Hitler che un coraggioso contrattacco con la 1a Panzerarmee del generale von Kleist poteva trasformare la sconfitta in vittoria. Hitler, che viveva per momenti simili, colse subito l’occasione. Sostenendo che l’idea era sua, incoraggiò von Kleist a spostare rapidamente la sua divisione corazzata in posizione d’attacco sul fianco meridionale del nemico e ordinò alla Luftwaffe di utilizzare ogni reparto disponibile per inchiodare le forze nemiche. I tedeschi attaccarono il fianco meridionale del saliente di Barvenkovo prima dell’alba del 17 maggio. A mezzogiorno erano avanzati di 16 km anche se la divisione corazzata aveva dovuto impegnare da vicino i T-34. Quella sera Timočenko telegrafò a Mosca chiedendo rinforzi per fermare von Kleist. Secondo Žukov, Timočenko non aveva avvertito Mosca che le sue armate correvano il rischio di essere circondate, ma il commissario in capo al fronte, Nikita Chruščëv, sostenne che Stalin si era ostinatamente rifiutato di permettere loro di allontanarsi dal pericolo. (In seguito, questo episodio entrò a far parte delle accuse lanciate da Chruščëv a Stalin durante la sua famosa denuncia del 1956 al XX congresso del partito). Il 19 maggio, Timočenko rinunciò all’offensiva, d’accordo con Stalin, ma ormai era troppo tardi. Von Bock decise che era venuto il momento in cui Paulus avrebbe dovuto attaccare da nord per chiudere la tenaglia. Il combattimento che ne derivò, una graduale compressione di oltre 250.000 soldati sovietici, portò ad una insolita situazione. Secondo un sottufficiale della 389a divisione di fanteria, il suo reggimento si trovò coinvolto in uno scontro spietato con quello che descrisse come un “battaglione irregolare” di donne soldato, comandate da una dai capelli rossi. “I metodi di combattimento di quelle bestie erano proditorii e pericolosi. Stavano nascoste nei covoni di fieno e ci sparavano alle spalle quando passavamo accanto”. Mentre il cerchio si chiudeva, al calar della notte alcune unità di artiglieria meccanizzate si trovarono tagliate fuori in mezzo alla massa dei soldati sovietici. Il loro comandante era il leggendario conte Hyazinth von Strachwitz (44), famoso cavalleggero della prima guerra mondiale, le sue truppe si erano spinte così avanti durante l’avanzata del 1914 da scorgere Parigi in lontananza. I carri e gli altri veicoli caricarono come un’unica massa per uscire da quel vasto accerchiamento e raggiungere il resto della divisione.

Operazione Blu - Avanzata del 1942
Operazione Blu – Avanzata del 1942

I soldati dell’Armata Rossa si batterono con accanimento per più di una settimana. Eseguirono cariche disperate, a volte legandosi braccio a braccio, contro le linee tedesche di notte, ma la trappola era solida e furono massacrati a migliaia. Meno di un uomo su dieci riuscì a fuggire dalla sacca. La 6a e la 57a armata, prese “nella trappola per topi di Barvenkovo”, vennero praticamente annientate. Furono presi 240.000 prigionieri, 2.000 cannoni e il grosso delle forze corazzate di Timočenko. Le perdite tedesche ammontarono a non più di 20.000 uomini. Piovvero felicitazioni da tutte le parti. Lo stesso Paulus si ritrovò al centro dell’attenzione della stampa nazista che, poco propensa a lodare comandanti reazionari di origine aristocratica, enfatizzò le sue umili origini. Fu ricompensato con la Croce di Cavaliere. Schmidt, capo di stato maggiore di Paulus, sostenne negli anni successivi che l’effetto più vistoso di quella battaglia si ebbe sull’atteggiamento del suo comandante nei confronti di Hitler. La decisione di Hitler di appoggiare l’ambizioso contrattacco aveva convinto Paulus della sua genialità e della capacità superiore dell’OKW (45) di valutare la situazione strategica. Ironicamente, date le circostanze, Paulus ricevette anche una lettera piena di lodi da parte del maggiore conte Claus von Stauffenberg dello stato maggiore generale, che era stato al suo fianco durante parte della battaglia. “Com’è esaltante”, scriveva von Stauffenberg (46), “allontanarsi da questa atmosfera alla volta di luoghi in cui gli uomini danno il meglio di sé senza pensarci due volte, e danno anche le proprie vite senza un mormorio, mentre i capi e quelli che dovrebbero fungere da esempio litigano e bisticciano per il proprio prestigio, oppure non hanno il coraggio di dire quello che pensano su un problema che influisce sulle vite di migliaia di loro camerati.” Paulus non notò il messaggio in codice, oppure lo ignorò deliberatamente. In ogni caso era molto restio ad esaminare i difetti di Hitler. Eppure, dopo il modo con cui i piani dell’Operazione Barbarossa erano stati cambiati dai capricci del Führer, avrebbe dovuto essere in grado di valutare il vero pericolo per i comandanti sul campo. Hitler, avvelenato dall’idea di essere infallibile, con una straordinaria capacità di manipolare gli uomini e approfittando delle comunicazioni pressoché istantanee con il suo alto comando, avrebbe cercato, alla stregua di Dio, di controllare da lontano ogni manovra. In una conferenza al comando del gruppo di armate Sud a Poltava, Hitler dava il via all’operazione Blu. Stalingrado quasi non era stata menzionata, interessante solo per l’eliminazione delle fabbriche di armamenti e per la costituzione di una testa di ponte sul Volga. La conquista della città in sé non era considerata necessaria. Il Führer era ossessionato dai campi petroliferi del Caucaso. “Se non prendiamo Maikop e Groznij”, aveva detto ai presenti, “allora dovrò porre fine alla guerra”. La prima fase del piano era la cattura di Voronež. La seconda consisteva nell’intrappolare il grosso delle forze sovietiche con un grande movimento a tenaglia a ovest del Don. Poi la 6a armata si sarebbe spostata verso Stalingrado per assicurare il fianco nord-est, mentre la 1a Panzerarmee di von Kleist e la 17a armata avrebbero occupato il Caucaso. Hitler fece apparire tutto estremamente semplice. L’Armata Rossa era praticamente finita e la vittoria a Charkov aveva confermato la nuova supremazia tedesca. Mentre la 6a armata e la 1a Panzerarmee erano pronte a cominciare l’operazione Blu fissata per il 28 giugno, tutti i comandi interessati si trovavano nella più totale confusione. Il 19 giugno il maggiore Reichel, ufficiale alle operazioni della 23a Panzerdivision, salì a bordo di un Fieseler Storch (la famosa “Cicogna” monomotore per collegamento e osservazione aerea) per andare a visitare un’unità di linea. Contrariamente a tutte le procedure di sicurezza, aveva con sé una serie di ordini particolareggiati dell’operazione. Lo Storch fu abbattuto poco al di là delle linee tedesche. Una pattuglia mandata a recuperare i corpi e i documenti scoprì che i russi erano arrivati per primi. All’annuncio della notizia, Hitler quasi impazzì di rabbia. Chiese che i superiori di Reichel fossero mandati davanti alla corte marziale. Ma l’ironia fu che Stalin, quando gli comunicarono il ritrovamento dei documenti, li liquidò sostenendo che erano falsi. Rinchiudendosi nell’ossessiva cocciutaggine dell’anno precedente, rifiutava di credere a qualsiasi cosa contraddicesse la sua personale opinione che Hitler avrebbe attaccato di nuovo Mosca. Anche quando con un aereo gli furono mandati i documenti li gettò da una parte.

Fieseler Storch “Cicogna”
Fieseler Storch “Cicogna”

Il 28 giugno, la 2a armata e la 4a Panzerarmee schierate vicino Kursk attaccarono a est in direzione Voronež, non a nord in direzione di Orël e Mosca, come si aspettava Stalin. Lo sfondamento suscitò grande allarme e Stalin consentì di trasferire carri e brigate dalle riserve verso Voronež. Ma lo spiegamento richiese tempo e non passò inosservato alla ricognizione aerea tedesca che individuò le zone di concentramento le quali furono pesantemente bombardate dalla Luftwaffe. Il 30 giugno, la 6a armata di Paulus, con sul lato sinistro e destro rispettivamente la 2a armata ungherese e la 1a Panzerarmee, si muoveva partendo dal lato orientale del fiume Donetz. Incontrò una resistenza piuttosto accanita da parte dei T-34, ma i russi avevano fatto l’errore di mimetizzarli ed interrarli, limitandone grandemente la mobilità e quindi le forze corazzate tedesche li aggiravano con estrema facilità. Nonostante l’avanzata, i comandi germanici non erano tranquilli, soprattutto per la cattura dei documenti del maggiore Reichel, temevano un tranello. Timore a quel punto assolutamente esagerato, a causa delle interruzioni delle comunicazioni, il caos tra i sovietici era al massimo. L’idea di un’astuta trappola per l’affaire Reichel è stata perpetuata e anzi rafforzata dopo la sconfitta di Stalingrado da molti sopravvissuti e storici tedeschi del periodo della Guerra Fredda, ignorando il fatto che l’errore più grande di Stalin dall’inizio dell’invasione era stato quello di non permettere alle proprie forze di abbandonare le posizioni. L’inizio della ritirata dell’Armata Rossa nel luglio 1942 non faceva parte di un diabolico piano. Molto semplicemente, Stalin aveva alla fine accettato l’idea di permettere ai comandanti di sfuggire agli accerchiamenti. Ne era risultato che l’attacco a tenaglia dei tedeschi a ovest del Don si era chiuso sul nulla. Tuttavia lo STAVKA aveva stabilito che Voronež, un centro d’importanza strategico per le comunicazioni, dovesse essere difesa fino all’ultimo uomo. Sapevano che la sua caduta avrebbe permesso ai tedeschi di attraversare il corso superiore del Don e l’intero fronte sud occidentale di Timočenko sarebbe stato aggirato. Voronež fu attaccata in modo deciso (24a Panzerdivision, Division Grossdeutschland e 16a divisione motorizzata), sembrava che la città dovesse cadere da un momento all’altro, poi Hitler, ansioso di non farsi sfuggire le armate sovietiche a sud est della città all’interno delle anse del Don, prese una disastrosa decisione di compromesso. Dirottò parte delle forze a sud, col risultato che quelle lasciate indietro non avevano più i mezzi per conseguire una rapida vittoria. I difensori resistevano strada per strada, dove i tedeschi perdevano tutti i loro vantaggi. La città cadde solo il 27 luglio. Più per caso che per una strategia precisa, i combattimenti a Voronež facevano parte di una fase in cui l’Armata Rossa si apprestava a concentrare le difese nelle città e non più su linee teoriche stabilite sulle carte. Questa nuova flessibilità aveva permesso alle armate di Timočenko di ritirarsi evitando lo accerchiamento, ma erano state ridotte in condizioni tali che il 12 luglio una direttiva dello STAVKA aveva stabilito un nuovo comando di gruppo d’armate, il fronte di Stalingrado. Benché nessuno osasse dar voce al suggerimento disfattista che l’Armata Rossa avrebbe fatto meglio a ritirarsi almeno fino al Volga, cominciò a diffondersi il sospetto che fosse proprio quello il luogo scelto per combattere la battaglia principale. La prova più significativa fu il rapido invio da Saratov della 10a divisione fucilieri dell’NKVD, di cui cinque reggimenti provenienti dagli Urali e dalla Siberia. Il suo comando di divisione assunse il controllo di tutte le unità locali dell’NKVD e dei battaglioni della milizia e due battaglioni di addestramento per equipaggi di carri armati, oltre che la responsabilità del traffico fluviale lungo il Volga. I soldati tedeschi erano colpiti dall’immensità della steppa, i pochi villaggi lasciati intatti dai combattimenti sembravano isole su cui approdare per cercare acqua. Poteva farsi avanti un vecchio contadino timoroso, che poi si toglieva il berretto in segno di omaggio, come prima della rivoluzione, e correva a prendere dell’acqua per i “visitatori”. Nel frattempo le donne del villaggio spingevano le oche in un fosso o in un bosco vicino per nasconderle, ma poi scoprivano che i soldati tedeschi avevano un fiuto altrettanto buono di quello dei gruppi di requisizione del partito comunista. I soldati non si limitavano a cogliere rape e cipolle nei campi, ma depredavano qualsiasi orto o appezzamento su cui passavano. Galline, anatre e oche erano le prede di guerra preferite perché si potevano portare con sé ed era facile cucinarle. Anche gli alleati ungheresi dei tedeschi non si comportavano diversamente, avevano preso a prestito dalla loro paradossale nozione di etica solo il fatto che era giusto rubare ai comunisti. Quello stesso luglio, Hitler diventò sempre più impaziente a causa di ritardi che erano sostanzialmente colpa sua. Le divisioni corazzate sfrecciavano in avanti con improvvisi sfondamenti, ma poi arrivava il momento cruciale in cui dovevano fermarsi perché non avevano più carburante. Ciò rappresentava un ritardo doppiamente irritante per il Führer, che teneva in continuazione gli occhi puntati sulle carte dei campi petroliferi del Caucaso. Questo atteggiamento febbrile lo indusse al più disastroso cambiamento di piani: i nuovi ordini alle formazioni comportarono solo un maggiore spreco di tempo e soprattutto di carburante. La fase centrale dell’operazione Blu era stata caratterizzata da una rapida avanzata della 6a armata e della 4a Panzerarmee verso Stalingrado per tagliare la ritirata alle truppe di Timočenko, prima di lanciare l’attacco contro Rostov sul Don e attraversare il basso Don per penetrare nel Caucaso. Ma Hitler aveva una tale fretta di accelerare l’offensiva che decise di attuare le due fasi nello stesso momento, riducendo la concentrazione di forze. Contrariamente a quanto consigliato da Halder, ordinò alla 4a Panzerarmee di dirigersi a sud e tolse nel contempo alla 6a armata l’appoggio del XL Panzerkorps, rallentandone in tal modo l’avanzata sino a ridurla a un lento assalto frontale in direzione di Stalingrado. Il feldmaresciallo von Bock non riuscì a nascondere il suo disappunto di dividere l’operazione Blu in due parti invece di lasciarle la sua caratteristica di manovra coerente da effettuarsi in due fasi. Hitler decise anche di dividere il gruppo d’armate Sud in due parti. Il feldmaresciallo List (47) doveva assumere il comando del gruppo d’armate A nel Caucaso, mentre il feldmaresciallo barone von Weichs avrebbe guidato il gruppo d’armate B con la 6a armata come formazione di maggior peso. Il Führer , consapevole del disappunto di von Bock, lo sollevò dal comando, accusandolo del ritardo subito a Voronež. In tal modo Hitler non solo cambiava l’organizzazione, ma anche i tempi e le fasi alla base della logica dell’operazione Blu. Il passo successivo, due settimane più tardi, fu di aumentarne considerevolmente gli scopi, pur riducendone ulteriormente le forze. L’avanzata tedesca era talmente rapida che il 19 luglio Stalin in persona ordinò al comitato per la difesa di Stalingrado di preparare immediatamente la città all’attacco. Il 24 luglio dopo aspri combattimenti, in particolare contro le truppe dell’NKVD a difesa del loro comando, Rostov sul Don cadde. Questa riconquista cancellava tutti i brutti ricordi dell’inverno precedente. Hitler era arrivato il 16 luglio al nuovo quartiere generale avanzato della cittadina ucraina di Vinnitza, senza dubbio si sentì rassicurato nell’apprendere che la città era “Judenrein”, “libera da ebrei”, dopo le esecuzioni di massa di un battaglione di polizia l’autunno precedente. La città, come trapelò in seguito, aveva subito le atrocità staliniste del 1938, quando le truppe dell’NKVD massacrarono più di 100.000 ucraini. Ma i tedeschi ne scoprirono le fosse solo nel 1943. Quando si trattava di assecondare le esigenze di Hitler, gli sforzi per la cura dei particolari ricordavano quelli di una corte bizantina. Prima del suo arrivo, una squadra della Gestapo esaminava le pareti in cerca di microfoni e ed esplosivi. Una società tedesca di prodotti ortofrutticoli si occupava della creazione di un ampio orto. Lo chef personale di Hitler effettuava la scelta delle verdure. Quelle destinate alla mensa del Führer dovevano essere colte sotto gli occhi attenti di un incaricato, che poi portava direttamente il prodotto alle cucine. Il cibo veniva analizzato chimicamente prima della cottura e assaggiato prima di arrivare in tavola. Anche l’acqua veniva controllata più volte al giorno. L’acqua minerale era imbottigliata in presenza di addetti, che poi si incaricavano del trasporto, persino la biancheria veniva esaminata ai raggi X. per accertarsi che non vi fossero nascosti esplosivi. Bombole d’ossigeno erano sistemate all’esterno del bunker, pronte a pompare aria all’interno, perché Hitler teneva i vapori nocivi che esalavano dal cemento armato. Durante il suo soggiorno, convinto che l’Armata Rossa fosse ormai agli sgoccioli, egli riscrisse l’operazione Blu. Hitler che aveva già ignorato la razionalità strategica su cui era basato l’intero piano, ora aveva aumentato gli obiettivi in un colpo solo. La 6a armata avrebbe attaccato e occupato Stalingrado. Non lo soddisfaceva più l’idea di limitarsi ad avanzare fino alla Volga distruggendo le fabbriche d’armi. Poi Paulus avrebbe dovuto inviare gruppi motorizzati lungo il Volga sino ad occupare Astrakan sul Mar Caspio. Il gruppo d’armate A, al comando del feldmaresciallo von List aveva il compito di impadronirsi di tutta la costa orientale del Mar Nero e gran parte del Caucaso. L’allibito von List riuscì solo a concludere che Hitler fosse in possesso di informazioni sul prossimo crollo del nemico non ancora trasmesse ai comandi. I vertici militari avevano inoltre saputo che l’11a armata di von Manstein, dopo aver portato a termine la conquista della Crimea si sarebbe spostata sul fronte di Leningrado e che le divisioni corazzate Grossdeutschland e quella delle SS Leibstandärte sarebbero state rimandate in Francia. La continua sottovalutazione del potenziale nemico stava diventando sempre più grottesca e pericolosa. Hitler cercò di giustificare questo gioco d’azzardo richiamandosi ai rinforzi che giungevano dagli alleati. Benché il Führer potesse essere molto convincente quando si gettava nelle sue incessanti tirate propagandistiche, pochi generali si lasciarono persuadere da questo argomento quando parlava con grande entusiasmo nelle armate rumene, di quella ungherese e di quella italiana. I suoi generali sapevano perfettamente perché non potevano paragonarsi nemmeno lontanamente a un corpo tedesco al massimo degli effettivi, soprattutto a causa della mancanza di una difesa contro le divisioni corazzate. Condividevano anche l’opinione formulata dal feldmaresciallo von Runstedt su questo “vero e proprio esercito della Società delle Nazioni”, che includeva rumeni (i cui ufficiali e sottufficiali, a suo parere, erano “al di là di ogni descrizione”), italiani (48) (“gente spaventosa”) e ungheresi (“vogliono tornare a casa il più presto possibile”). Escluse un paio di eccezioni, come gli slovacchi (“di prima qualità e molto umili”) e le truppe di montagna rumene, lui e gli altri ufficiali tedeschi li consideravano male equipaggiati, male armati, male addestrati e completamente impreparati alla guerra sul fronte orientale. Benché espresse con arroganza, molte osservazioni di von Runstedt sono confermate da altre fonti; diari, lettere e rapporti di interrogatori sovietici svelavano con chiarezza dolorosa e a volte patetica, la qualità dei soldati e dei sottufficiali alleati. La stragrande maggioranza dei soldati alleati erano coscritti e quasi metà di loro erano analfabeti. La mancanza di familiarità con i progressi tecnologici li rendeva facile preda del panico ogni volta che venivano attaccati da carri o aerei. I servizi di sanità non sembravano essere cambiati di molto dal secolo precedente. Le punizioni che i soldati rumeni e ungheresi potevano subire dai loro ufficiali, dalla fustigazione fino all’impiccagione, sembravano da eserciti del 14° secolo. Questo atteggiamento balcanico nei confronti della guerra manifestava la sua rozzezza anche in altri modi. Un gran numero di soldati aveva espresso il proprio disappunto per la scarsità di bottino in Russia, dopo tutto quello che gli ufficiali avevano promesso loro. “L’abitudine di saccheggiare è nel sangue sia dei tedeschi sia degli ungheresi”, aveva ammesso ingenuamente un soldato ungherese al funzionario dell’NKVD che lo interrogava dopo la cattura. Se alla fine Hitler ammise il suo errore, senza peraltro riconoscerlo, era troppo tardi per evitare il disastro.


38 Paul Ludwig Ewald von Kleist (Braunfels an der Lahn, 8 agosto 1881 – Wladimirowka, 15 ottobre 1954) è stato un generale tedesco, feldmaresciallo durante la seconda guerra mondiale. Il 30 marzo 1944 venne bruscamente congedato, insieme a von Manstein, per le sue posizioni ormai chiaramente anti-hitleriane, trascorrendo nell’ombra l’ultimo anno di guerra. Dopo la caduta di Berlino venne fatto prigioniero ed estradato dapprima in Jugoslavia, dove venne condannato per crimini di guerra, e poi in Unione Sovietica, dove morì, presso il campo di prigionia di Wladimirowka il 15 ottobre 1954.

39 Hans Graf von Sponeck (12 Febbraio 1888 Düsseldorf – 23 luglio 1944 Germersheim) tenente generale dell’esercito tedesco. Gli fu tre volte negato il permesso di ritirarsi dalla penisola di Kerč, poi avendo poco tempo per decidere, per salvare dall’annientamento i suoi soldati decise di sua iniziativa di ritirarsi ed attestarsi in altra posizione. Deferito ad una corte marziale fu giudicato colpevole di avere disobbedito agli ordini di Hitler di non ritirarsi mai e condannato a morte. La pena gli fu commutata in sei anni di carcere. Dopo l’attentato a Hitler venne inserito in una lista di ufficiali ostili al regime e fucilato il 23 luglio 1944.

40 Franz Halder (Würzburg, 30 giugno 1884 – Aschau im Chiemgau, 2 aprile 1972) generale tedesco, capo di stato maggiore della Wehrmacht dal 1938 al settembre 1942 quando si dimise a causa dei frequenti disaccordi con Hitler.

41 Arthur Schmidt (Amburgo, 25 ottobre 1895 – Karlsruhe, 5 novembre 1987) è stato un generale tedesco. Capo di Stato Maggiore della 6a armata durante tutta la battaglia di Stalingrado. Spesso accusato, da un classica tradizione storica, di essere stato la vera eminenza grigia del generale Friedrich Paulus. In definitiva Paulus e Schmidt collaborarono molto bene durante tutta la battaglia e condivisero, provenendo tutti e due dalla prestigiosa scuola di stato maggiore tedesca, nella gran parte dei casi, le stesse opinioni. Considerato da alcuni un fanatico nazista (il che è abbastanza controverso), e, paradossalmente da Hitler, un ufficiale infido e pronto a passare al nemico. Schmidt viceversa mostrò animo saldo anche nella prigionia, non cedendo alle lusinghe sovietiche e mantenendo uno stretto riserbo tornando a vivere in Germania Occidentale al termine della guerra.

42 Semën Timočenko (Furmanivka, 18 febbraio 1895 – Mosca, 31 marzo 1970) maresciallo dell’Unione Sovietica, sopravvissuto alle purghe del 1937 per la sua amicizia con Stalin, innovò l’esercito, resistendo ai conservatori, meccanizzandolo e incrementando la produzione di carri armati. Fu rimosso da Stalin dal comando in prima linea nel 1942, ormai convinto che Žukov fosse un generale migliore e assegnato a compiti di comando secondari.

43 Walter von Seydlitz Kurbach (22 agosto 1888 – 28 Aprile 1976) discendente di un brillante generale di cavalleria di Federico il Grande eroe della guerra dei Sette Anni. Prima di assumere il comando del LI corpo d’armata sotto Paulus, trascorse qualche giorno di licenza con la moglie. Non poteva immaginare quando la salutò, che quell’arrivederci sarebbe durato 14 anni. Preso prigioniero dai sovietici, nel 1950, un tribunale lo condannò a 25 anni di reclusione, ma venne poi liberato nel 1955.

44 Hyazinth Graf Strachwitz von Gross-Zauche und Camminetz (Groß Stein, 30 luglio 1893 – Winkl am Chiemsee, 25 aprile 1968) è stato un generale tedesco. Ufficiale di nobili origini, dalla personalità affascinante e cavalleresca, ma anche dotato di energia e slancio, viene considerato tra i più capaci e celebri comandanti tedeschi di unità minori corazzate della seconda guerra mondiale. Molto apprezzato tra le sue truppe, carismatico e coraggioso, venne soprannominato il “conte corazzato (Der Panzergraf)” (in riferimento al suo titolo nobiliare e al suo incarico nelle truppe corazzate). Fece mostra, nonostante la non più giovanissima età, di notevoli capacità nella condotta di rapide e imprevedibili manovre alla testa dei suoi panzer ottenendo grandi risultati in alcune famose battaglie contro l’Armata Rossa. La sua unità, in uno scontro durante le fasi dell’accerchiamento di Stalingrado, distrusse 105 carri T-34. Poco dopo fu gravemente ferito ed evacuato da Stalingrado. Fu uno dei 27 soldati tedeschi del Terzo Reich a ricevere la prestigiosa Croce di Cavaliere della Croce di Ferro con Foglie di Quercia, Spade e Diamanti.

45 Oberkommando der Wehrmacht o OKW era l’alto comando delle forze armate tedesche durante la Seconda guerra mondiale. All’OKW spettava principalmente la direzione strategica della guerra, con l’incarico di trasformare le indicazioni di Hitler in ordini e direttive militari per i comandi delle tre armi ad esso formalmente sottoposte:

OKH (Oberkommando des Heeres) – Heer (Esercito)

OKM (Oberkommando der Marine) – Kriegsmarine (Marina militare)

OKL (Oberkommando der Luftwaffe) – Luftwaffe (Aviazione).

Nella realtà, specialmente nella prima fase della seconda guerra mondiale, i tre comandi, soprattutto quelli di aeronautica e marina, continuarono a godere di un’ampia autonomia operativa.

46 Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg (Jettingen-Scheppach, 15 novembre 1907 – Berlino, 21 luglio 1944) è stato un ufficiale tedesco che svolse un ruolo di primo piano nella progettazione ed esecuzione dell’attentato del 20 luglio contro Hitler e nel successivo tentativo di colpo di stato. Fu fucilato la notte del 20 luglio 1944 a Berlino. Su ordine del Führer, tutti i membri delle famiglie dei colpevoli dovevano essere eliminati: questo portò anche all’arresto, alla deportazione e uccisione di molti innocenti, che avevano la disgrazia di condividere il nome, anche senza essere parenti, dei congiurati. Per quanto riguarda la famiglia von Stauffenberg, il fratello maggiore, Berthold, fu giustiziato; la moglie di Stauffenberg, Nina ed i suoi quattro figli (la donna era incinta della quinta figlia, nata poi durante la prigionia) furono arrestati dalle SS; i quattro figli furono messi, sotto falso nome, in un orfanotrofio in Bassa Sassonia. Nina venne tenuta prigioniera in provincia di Bolzano. Liberati dall’arrivo delle truppe alleate, tutti i membri della famiglia poterono finalmente riunirsi dopo la fine della guerra.

47 Wilhelm List (Oberkirchberg, 14 maggio 1880 – Garmisch, 16 agosto 1971) è stato un generale (feldmaresciallo) tedesco durante la seconda guerra mondiale. Responsabile di un’armata sul fronte di Stalingrado, il Führer lo congedò il 9 settembre 1942, ignorando le proteste mosse da Franz Halder e Alfred Jodl. Processato a Norimberga e condannato all’ergastolo nel febbraio del 1948. Liberato nel dicembre del 1952 per gravi motivi di salute, morì il 17 agosto 1971 a Garmisch.

48 Un altro famoso generale tedesco, Erwin Rommel, aveva dato il seguente giudizio sugli italiani: “I soldati sono leoni, gli ufficiali salsicce, lo stato maggiore letame”. Questo parere, pur crudo, volgare e poco generoso, purtroppo, dovendoci attenere ai fatti almeno in parte è veritiero.


L’Ordine n. 227

Il 28 luglio 1942, mentre Hitler festeggiava la presa di Rostov, Stalin capì che il momento della crisi era ormai vicino. Se i tedeschi avessero attraversato il Volga, il paese sarebbe rimasto tagliato in due. Nel mare Barents era appena stato distrutto un convoglio di rifornimenti e la nuova via di comunicazione per trasportare gli aiuti anglo-americani attraverso la Persia sarebbe stata ben presto minacciata. Quel giorno Stalin, mentre ascoltava il rapporto del generale Vasilevskij (49), urlando si domandò se fosse stato dimenticato il suo ordine dell’agosto precedente che affermava: “Chiunque abbassa la sua bandiera durante la battaglia e si arrende dovrà essere considerato come un vile disertore, la cui famiglia verrà arrestata perché ha nel suo ambito una persona che non ha tenuto fede a un giuramento e che ha tradito la Madrepatria. Questi disertori saranno fucilati sul posto. Chiunque cada in un accerchiamento e chiunque preferisca arrendersi dovrà essere eliminato ad ogni costo, mentre la sua famiglia verrà privata di tutti i benefici dell’assistenza dello Stato”. “Lo hanno dimenticato”, continuò Stalin. “Preparane un altro dello stesso tenore”. Quella sera stessa venne presentata la bozza dell’ordine n. 227, più noto come: “Non un passo indietro”, che firmò dopo aver apportato alcune modifiche. L’ordine doveva essere letto a tutte le truppe dell’Armata Rossa. “I fomentatori di panico e i codardi devono essere fucilati sul posto, bisogna eliminare assolutamente ogni idea di ritirata, i comandanti d’armata che hanno permesso l’abbandono volontario delle posizioni devono essere rimossi e inviati al tribunale militare per essere sottoposti a processo”. Chiunque si fosse arreso sarebbe stato considerato un traditore della Madrepatria. Ogni grande unità doveva organizzare da tre a cinque distaccamenti ben armati, fino a duecento uomini ciascuno, allo scopo di creare una seconda linea incaricata di sparare a tutti i soldati che cercassero di scappare. Entro 10 giorni, Žukov aveva perfezionato l’ordine sul fronte occidentale, usando mezzi corazzati equipaggiati con ufficiali appositamente scelti. Essi dovevano seguire la prima ondata d’attacco, pronti a “combattere la codardia”, aprendo il fuoco su qualsiasi soldato esitasse a compiere il proprio dovere. Vennero preparati tre campi per gli interrogatori di chi fosse riuscito a sfuggire alla prigionia o all’accerchiamento dei tedeschi. I comandanti che permettevano ritirate perdevano il loro grado e venivano mandati in compagnia o battaglioni di punizione. Il primo di questi reparti sul fronte di Stalingrado vide la luce tre settimane più tardi, il 22 agosto, il giorno prima che i tedeschi raggiungessero il Volga. Le compagnie di punizione, štravrotij, erano destinate a compiti suicidi come lo sminamento durante un attacco. L’idea piacque a tal punto alle autorità sovietiche che anche i prigionieri civili vennero trasferiti dai gulag alle compagnie di punizione. Alcuni sostengono che furono quasi un milione, ma la cifra potrebbe essere esagerata. Le promesse di redenzione tramite atti di coraggio di solito risultarono false, soprattutto a causa dell’indifferenza della burocrazia. Gli uomini per lo più morivano nelle file di questi reparti di punizione. Sul fronte di Stalingrado, venne ordinato alla 51a armata di arrestare gli ufficiali sfuggiti all’accerchiamento. Il primo gruppo di 58 fu informato che sarebbe stato mandato davanti a una commissione che in seguito li avrebbe assegnati a nuove unità, ma nessuno si preoccupò di interrogarli, invece si ritrovarono senza processo o preavviso in compagnie di punizione. Quando l’errore venne alla luce due mesi più tardi, erano tutti già feriti o morti. I dipartimenti speciali dell’NKVD prendevano molto sul serio il loro compito di scovare spie e traditori. La Wehrmacht cercò di sfruttare questo modo stalinista di considerare la lealtà. Una direttiva tedesca raccomandava caldamente di avvertire i prigionieri sovietici del trattamento che li aspettava per mano dell’NKVD, qualora fossero riusciti a scappare dalla prigionia tedesca. Un altro dipartimento dell’NKVD costituito da Berija nel 1939, si occupava dei prigionieri di guerra nemici. Il suo compito principale era stata la liquidazione di più di 4.000 ufficiali polacchi nella foresta di Katyn. Ma nell’estate del 1942 i suoi ufficiali non avevano molto da fare perché erano stati catturati pochissimi tedeschi. Ogni membro di un piccolo distaccamento di una divisione motorizzata tedesca fu interrogato da una donna, il tenente Lepinskaja, del dipartimento politico del comando del fronte sud-occidentale. Le domande miranti a valutare il loro morale non fornirono materiale molto incoraggiante. “La maggior parte dei soldati vuol combattere fino in fondo”, dovette riferire. “Nessun caso di diserzione o di ferite auto inflitte. Ufficiali severi, ma corretti.” La Lepinskaja ebbe maggior fortuna con i prigionieri rumeni. Un ufficiale ammise che i suoi uomini detestavano il maresciallo Antonescu (50) per avere venduto la loro patria alla Germania. I soldati erano ancor più disponibili. Le raccontarono di “scazzottate” con i tedeschi. I loro ufficiali erano molto “rudi” e spesso li colpivano. C’erano stati numerosi casi di ferite auto inflitte, nonostante fosse stato insegnato loro che erano peccati contro la Madrepatria e contro Dio. La Lepinskaja concludeva che i rumeni erano evidentemente in uno stato di basso morale politico. I suoi rapporti furono trasmessi subito a Mosca. Per i soldati della 6a armata, l’estate del 1942 fu l’ultimo periodo idilliaco di tutta la guerra. Nel territorio dei cosacchi del Don, i paesini di casette imbiancate a calce con i tetti di paglia, circondati da ciliegi e salici, e i cavalli nei pascoli, fornivano un’attraente contrasto con il solito squallore dei villaggi che facevano parte delle fattorie collettive. La maggior parte dei civili, rimasta nonostante gli ordini di evacuazione dell’autorità comuniste, si comportava in modo amichevole. Molti tra i più anziani avevano combattuto i bolscevichi durante la guerra civile. Solo la primavera precedente, i cosacchi si erano ribellati a Šaktij, al nord di Rostov, dichiarando una repubblica indipendente. La rivolta era stata soffocata dalle truppe dell’NKVD con rapida e prevedibile brutalità. Durante le veloci avanzate tedesche, Stalin non aveva esitato a prendersela con i suoi generali. L’Armata Rossa, che pativa ancora per le offensive premature volute da lui, mancava di truppe addestrate e di ufficiali e sottufficiali esperti. I tedeschi non smettevano di rimanere stupiti di fronte al sacrificio di vite umane che caratterizzava il comportamento degli ufficiali russi. L’Armata Rossa soffriva ancora dell’atavico timore di prendere iniziative rimastole dopo le epurazioni. Ma dai recenti disastri a sud, che avevano distrutto la reputazione dei cacciatori di streghe stalinisti, cominciava a emergere una nuova generazione di ufficiali energici, spietati e molto meno timorosi dei commissari dell’NKVD. I successi di Žukov avevano fornito lumi e speranze a molti ufficiali emergenti, furibondi per le umiliazioni dell’Armata Rossa. La 64a armata, formata da divisioni incomplete e comandata dal generale Vasilij Čujkov, a metà luglio era sul fronte di Stalingrado con l’incarico di tenere i tedeschi a ovest del fiume Don. La 62a armata era schierata nella parte superiore dell’ansa orientale del Don, e Čujkov doveva portare le sue truppe a copertura della sua parte inferiore, a sud del fiume Čir. Le due armate furono pesantemente attaccate. Il 26 luglio, l’attacco tedesco al fianco destro della 62a armata creò confusione che fu seguita dal panico, cominciò una folle corsa verso il ponte di barche sul fiume. Ondate di stuka bombardavano i russi. La situazione del rifornimento munizioni e viveri era pesante. I soldati cuocevano il grano raccolto nei campi circostanti. Pur vendendo cara la pelle, l’11 agosto, i resti della divisione si divisero in piccoli gruppi per aprirsi la strada fino al Don. Numerosi ufficiali si spararono, le ultime sacche di resistenza furono travolte dai panzer. Militari russi aspettarono la notte per attraversare a nuoto il fiume. Migliaia di sbandati nella parte occidentale del Don aspettavano la notte per attaccare e cercare di attraversare il fiume; della 18a divisione fucilieri della 62a armata, forte di 13.000 uomini all’inizio dei combattimenti, solo 105 riuscirono ad attraversare il Don. Pure l’ecatombe di carri armati russi fu imponente anche per la superiorità aerea tedesca. I carri venivano troppo esposti all’aperto dai loro comandanti offrendo un facile bersaglio agli Stuka e ai cannoni da 88mm del nemico. I tedeschi sapevano che i T-34 erano molto meglio corazzati dei loro carri, ma d’altra parte i congegni di puntamento non erano granché, pochi comandanti russi avevano binocoli decenti e le radiotrasmittenti erano scarse. Ma la maggior debolezza dell’Armata Rossa era la sua mancanza di tattica. Le forze corazzate non sapevano sfruttare appieno il terreno e avevano poca familiarità con i principi del fuoco in movimento, oltre a non sapere coordinare gli attacchi con l’aviazione. Dal bordo di un piccolo burrone a picco sul Don, i primi carristi tedeschi scorsero la cittadina di Kalač. L’agglomerato consisteva principalmente di piccole officine, una stazione ferroviaria in rovina e capanne di legno. I combattimenti erano stati molto duri, numerosi soldati tedeschi non condividevano l’ottimismo di Hitler e Paulus che il nemico fosse ormai finito. Le pesanti perdite avevano cominciato ad intaccare il morale. “L’unica consolazione”, scriveva un geniere a casa, “è che avremo pace e tranquillità a Stalingrado, dove ci trasferiremo nei quartieri invernali, e poi, provate solo a pensarci, ci sarà forse una licenza.” In nessun altro posto l’ordine di Stalin, “Non un passo indietro”, si applicava meglio che nella città minacciata e che portava il suo nome. La battaglia della guerra civile che vi aveva avuto luogo quando ancora si chiamava Tzaritzyn (51) (significa Città sulla Tzaritza o anche Città della zarina), fu rievocata insieme alla favola secondo la quale l’energica guida di Stalin aveva volto le sorti dello scontro a favore della Rivoluzione contro le armate bianche. La città era stata costruita dove il fiume Tzaritza si butta nel Volga, al punto di incrocio dei due fiumi si trova una fortezza, un po’ più a nord non lontano dal centro una collina sepolcrale di circa 102 metri chiamata Mamaev Kurgan (52). Il comitato regionale militare fece tutto il possibile per trasformare la città in una fortezza, ma non era un compito facile. Stalingrado descriveva una curva per più di 30 km lungo la scoscesa sponda occidentale del Volga. I difensori avrebbero avuto alle spalle un’ampia distesa di acque scoperte, attraverso la quale sarebbero dovuti passare tutti i rifornimenti e i rinforzi. 200.000 abitanti furono mobilitati per scavare trincee e fossati anticarro dove venivano poste mine dai genieri. Le difese contraeree erano di fondamentale importanza, ma molti pezzi non avevano ancora ricevuto le munizioni. La maggior parte delle batterie era servita da giovani donne, per lo più membri del Komsomol53, reclutate in aprile con la domanda: “Vuoi difendere la tua Madrepatria?”. Cui si poteva rispondere solo affermativamente. Le batterie erano state piazzate su entrambe le sponde del Volga allo scopo di proteggere installazioni importanti come la centrale elettrica e le grandi fabbriche.

Mappa di Stalingrado
Mappa di Stalingrado

Il comitato per la difesa di Stalingrado emanava decreti su decreti. Alle fattorie collettive fu ordinato di consegnare le riserve di grano all’Armata Rossa. Vennero creati tribunali per processare chi veniva meno al proprio dovere di patriota. La mancata denuncia di un membro di una famiglia che aveva disertato e non si era arruolato comportava una condanna a 10 anni di carcere. Il direttore di un liceo, cui era stato ordinato di portare 66 allievi diciassettenni ad arruolarsi al distretto militare, venne deferito al tribunale perché durante il tragitto 31 di loro se l’erano data a gambe. Troppo spesso la colpevolezza era una questione di tempestività. Y.S. scappato dal suo villaggio in seguito a un bombardamento, era stato condannato a sei mesi di lavori forzati “per avere abbandonato il posto di lavoro”, mentre A.S. che aveva rifiutato di lasciare la casa all’avvicinarsi dei tedeschi, era stata condannata in contumacia come “traditrice della Madrepatria”. La aspettavano un minimo di 10 anni in un gulag. Le dichiarazioni di Mosca sulla libertà di religione non avevano molto peso a Stalingrado. Il direttore di una banca agricola, che aveva mandato a suo fratello, ufficiale dell’Armata Rossa, alcune preghiere “consigliandogli di recitarle prima della battaglia”, fu condannato per “attività anticomuniste”. Anche i civili dovevano stare attenti a come commentavano la rapidità dell’avanzata tedesca e l’incompetenza della difesa russa. A.M. operaio di una fabbrica di pesce conservato sul Volga, fu accusato di “degenerazione politica immorale e di propaganda controrivoluzionaria” perché, a quanto pareva, aveva lodato i tedeschi e denigrato i leader del partito di governo e l’Armata Rossa.


49 Aleksandr Michajlovič Vasilevskij (Tula, 30 settembre 1895 – 5 dicembre 1977) è stato un generale, maresciallo dell’Unione Sovietica e politico. Capo di stato maggiore allo STAVKA e vice ministro della difesa, lavorò in stretto contatto con Stalin. Ideatore insieme al generale Žukov dell’Operazione Urano, si distinse nel comando e coordinazione durante il resto del conflitto, incluso l’Estremo Oriente. Fu ministro della difesa dal 1949 al 1953, lasciando la carica dopo la morte di Stalin. Progressivamente perse potere fino al collocamento in pensione.

50 Ion Antonescu generale e dittatore della Romania dal 1940. Relegò il ruolo del re Michele a puramente decorativo. Scelse di allearsi con la Germania. Nell’agosto 1944, il re, imitando il re d’Italia Vittorio Emanuele III, lo convocò a Palazzo Reale lo destituì e lo fece arrestare. Venne poi consegnato ai sovietici. Processato da un Tribunale del Popolo Rumeno del neonato governo comunista, venne riconosciuto colpevole di crimini contro la pace e di avere fatto partecipare la Romania all’invasione dell’URSS. Fu fucilato nel giugno del 1946.

51 Oggi la città si chiama Volgograd.

52 Collina che si ritiene sia una tomba a tumulo tartara e che si crede ospitasse il corpo di Batu Khan, un nipote di Gengis Khan, fondatore del regno turco-mongolo. Dopo la guerra sulla cima della collina è stato costruito un memoriale ed una grande statua allegorica. Il maresciallo Vasilij Ivanovič Čujkov è qui sepolto (primo maresciallo dell’Unione Sovietica sepolto fuori Mosca) come il famoso cecchino Vasilij Grigorevič Zajtčev, Eroe dell’Unione Sovietica.

53 Il termine Komsomol, in russo: Комсомол[?], è la contrazione di Kommunističeskij Sojuz Molodëži, ovvero l’Unione Comunista della Gioventù, organizzazione giovanile del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.

Giuseppe Bufardeci

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